Belli: «Dimensione metropolitana decisiva per essere competitivi. Dal piano strategico dipende la qualità della vita dei cittadini»

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La via che porta al futuro passa per un Corridoio: il numero nove, quello che collega la Scandinavia al Mediterraneo, il gelo del Nord al tepore del Sud Europa. Attilio Belli, professore emerito di Urbanistica all'Università Federico II di Napoli, ne è convinto. Ma lo studioso, che fu consulente del Comune di Napoli per il Piano Regolatore del 1972 ed è stato tra i redattori del Piano Strategico per Napoli a metà degli anni Duemila, a cavallo tra il primo e il secondo mandato di Rosa Iervolino, nel definire la traiettoria di uno sviluppo armonico e compiuto dell'area metropolitana di Napoli indica una serie di traguardi. Da centrare e poi da unire, come punti in un gioco di enigmistica. Ché, in fondo, questo è un rebus tutto ancora da risolvere.

Professor Belli, abbiamo bisogno di una nuova visione per uscire dalla palude in cui ristagna l'area metropolitana di Napoli?

«Sì, con la consapevolezza però che una visione adeguata non s'inventa, va costruita collettivamente attraverso un dibattito pubblico con l'apporto di contributi diversi della società e dei saperi. Che si manifesta anche nelle suggestioni emergenti nei social come la Neapolis 2030 avanzata da ambientalisti appassionati come Francesco Escalona e Anna Starita. Ma serve uno sforzo corale che muova da alcuni assunti di base.

È indispensabile anzitutto che la città, la società locale, venga inserita in uno scenario globale. Lo dice bene il geografo inglese Andy Merrifield quando afferma: "La città ha bisogno di essere considerata globalmente perché l'urbanizzazione è globale, mossa del capitale finanziario transnazionale. D'altra parte, in questa lotta globale, la città è la chiave, ma solo se è considerata nel senso più ampio del termine, alla sua scala territoriale più ampia". Cioè la città va considerata ineludibilmente nella dimensione metropolitana. Inoltre Napoli è una grande città europea sul Mediterraneo, che deve combattere con l'eredità del passato trentennio (quello della deindustrializzazione prodotta dalla "trappola dello sviluppo intermedio", come la chiama Viesti, dove l'Italia è rimasta in ritardo rispetto al Nord per l'innovazione e perdente rispetto all'Est per i costi di produzione), e in più deve raddrizzare urgentemente la finanza e cominciare a garantire una normale manutenzione della sua struttura fisica. D'altra parte, una visione della città che sarà l'Europa ce l'ha già assegnata: è il Corridoio 9, quello che collega la Scandinavia col Mediterraneo, e Napoli ha un ruolo cruciale. Si tratta di capire come svilupparci, giocando questo ruolo in maniera sostenibile, rafforzando prima di tutto il ruolo e l'utilizzo del nostro porto».

Che cosa ha determinato lo stallo al quale abbiamo assistito finora?

«Da anni si ripetono più sollecitazioni per il decollo dell'attività della Città metropolitana di Napoli. Dal 7 aprile del 2014, con una legge dello Stato, (anche) Napoli ha avuto una dimensione istituzionale nuova: la Città metropolitana. Ed è su questa dimensione, territorialmente coincidente con la vecchia Provincia, che si devono misurare le idee e le proposte per la nuova Napoli. Con il "Patto per Milano", ad esempio, il sindaco Giuseppe Sala ha garantito alla propria città il sostegno del governo a una gamma di progetti inseriti nel piano strategico per la Città metropolitana. Una strategia definita che ha consentito al sindaco Sala di affermare «noi abbiamo un progetto molto chiaro»: dare una prospettiva («Milano internazionale») all'incremento turistico che si è realizzato negli ultimi anni, creare una società pubblico-privato con iniziative che aprono ad alcune grandi città (Tokyo, Londra, Cannes), la no tax zone per attrarre nuove imprese nell'area Expo. Quello di Milano, appunto, è un progetto molto chiaro. Proprio quello che manca a Napoli. Eppure è evidente che qui servirebbe subito l'avvio di un piano strategico analogo a quello milanese per attivare almeno le direttrici d'azione cruciali: una sui giovani; una sul turismo, mettendo a sistema Campi Flegrei, Vesuvio e Pompei, isole, penisola sorrentina; una sui rifiuti e il risanamento delle aree inquinate; una sugli immigrati per la loro valorizzazione; una sulle due aree vulcaniche».

A proposito delle cause di questa inefficienza, ha rilevato anche una subordinazione delle competenze tecniche rispetto ai decisori politici.

«Alle Regioni e alle Città metropolitane si prospettano da tempo alcune sfide ineludibili: la rigenerazione non episodica delle periferie a scala metropolitana e la realizzazione di grandi progetti co-finanziati dallo Stato e dalla Commissione europea. A tale scopo servono sempre più tecnostrutture moderne ed efficienti. Rispetto a questa esigenza viene spontaneo chiedersi qual è lo stato di queste strutture in Campania. La situazione non sembra confortante. L'Isve, l'Istituto di Studi per lo Sviluppo economico creato nel 1983, è stato messo in liquidazione nel 2013, nell'ambito dei processi di riorganizzazione e razionalizzazione della spesa dell'amministrazione regionale. Campania Innovazione Spa, Agenzia regionale per la promozione della Ricerca e dell'Innovazione della Regione Campania, istituita nell'aprile 2011, è stata messa in liquidazione dal dicembre 2013 per volontà del socio Regione Campania. Nella Città Metropolitana di Napoli, ovviamente non c'è nulla da chiudere, tutto da aprire. Più in generale sembra affermarsi una totale subordinazione delle competenze tecniche organizzate nei confronti della decisione politica, deprimendo la qualità progettuale. Una situazione molto diversa da quella delle altre regioni».

Qual è l'impatto sulla qualità della vita dei cittadini?

«È notevole. Le valutazioni sulla qualità della vita si riferiscono alla dimensione provinciale e fotografano impietosamente la condizione in cui versano in modo specifico il lavoro, l'ambiente, la criminalità, il disagio sociale e personale, popolazione, servizi finanziari e scolastici, sistema salute, tempo libero, tenore di vita. Certo, si può argomentare che a determinare la "qualità della vita" intervengono o addirittura prevalgono altre cose, ma non si può negare che quelle componenti dell'esistenza delle popolazioni sui territori provinciali hanno una evidente significatività. Indicano problemi nei confronti dei quali sarebbe urgente orientare le politiche pubbliche. Serve una cura dei mali sociali del territorio metropolitano per farlo risalire, con qualche speranza di successo, nella graduatoria dei territori metropolitani europei. Tra le 38 grandi aree europee quella napoletana si colloca al di sotto del trentesimo posto. Segnata com'è da una bassa attrattività per i valori modesti in tutte le dimensioni misurate: contesto economico, competitività del tessuto produttivo, dotazione infrastrutturale, contesto sociale, ambiente e qualità della vita. Nessuna dimensione è irrimediabilmente arretrata, ma tutte sono a livelli modesti. Serve quindi uno sforzo consistente per portare la nostra area metropolitana a una condizione di adeguata competitività. Per questo impegno titanico, la legge sulle Città metropolitane, come è noto, punta soprattutto sul piano strategico. Bisogna costruire una visione, come atto di indirizzo, di concerto con le zone omogenee, per gli interventi strategici e l'esercizio delle funzioni dei Comuni».

Lei ha rimarcato più volte la centralità del Piano strategico.

«Certo. A sostegno della costruzione di una nuova visione che abbia al centro transizione digitale, energia, transizione verde, resilienza climatica e ambiente si pone la costruzione di un vero piano strategico della Città metropolitana, ben lontano dalla visione semplicistica seguita dalla passata amministrazione di frammentati progetti raccolti nei comuni, verso un modello interazionista che nelle arene e nei fori da attivare si proponga di organizzare le razionalità dei diversi attori coinvolti con la esplicitazione anticipata e pubblica degli interessi, dei costi e benefici delle azioni che vengono promosse, riducendo così gli spazi di negoziazione occulta. Si tratta di un'occasione decisiva per affermare la città come uno degli anelli principali di congiunzione tra Europa e Mediterraneo, con la valorizzazione della propria vitalità culturale e scientifica, complesso laboratorio di integrazione sociale».

Quali errori sono stati commessi in questi anni?

«Nel 2016, la firma tra l'ex premier Matteo Renzi e il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca del "Patto per la Campania" da 10 miliardi di investimenti, il primo Masterplan per il Mezzogiorno, segnalava un'assenza che non poteva non essere marcata con grande rammarico: quella della Città Metropolitana di Napoli. Una distorsione prodotta dal conflitto Renzi-de Magistris che ha acuito il ritardo accumulato nel decorso della Città metropolitana. Così gli interventi previsti in sei grandi aree strategiche (infrastrutture, sviluppo economico e produttivo, scuola, università e lavoro, turismo e cultura, sicurezza e legalità) avvengono senza il supporto di una visione d'insieme per la Città metropolitana, il che è indubbiamente molto grave. Le criticità di attuazione della legge Delrio, tuttavia, dipendono in parte dalla rilevante riduzione delle risorse a disposizione delle autonomie, dalle resistenze alla mobilità di una quota significativa di personale e di dirigenti. Ma non solo. Soprattutto a Napoli è disperante il distacco che si registra nei confronti della necessità di utilizzare l'occasione metropolitana per rispondere alla sfida competitiva in Europa, anche con l'ambizione di svolgere un ruolo trainante nel Sud, a partire da una forte integrazione con Bari. E dire che lo statuto della Città metropolitana di Napoli, approvato l'11 giugno del 2015, all'articolo 32, comma 2, recita: "Nel piano strategico si fissano le azioni tese a definire l'orizzonte identitario di crescita dell'area metropolitana al fine di migliorare le condizioni di vita, di salute, di relazioni, di benessere dei cittadini. Sarà forse che le condizioni di vita e di benessere dell'area napoletana hanno già raggiunto il top e quindi è inutile preoccuparsi di migliorarle?».

Altrove hanno fatto meglio?

«Senza dubbio. Le altre città metropolitane italiane sono da tempo in pieno movimento e hanno messo a fuoco la vision e i progetti in un dialogo intenso con il territorio. Ad esempio, a Milano è stato effettuato il confronto con le zone omogenee, con le rappresentanze socio-economiche, con gli attori del territorio. A Bologna, ancora di più, è stata firmata un'intesa-quadro tra regione Emilia Romagna e Città metropolitana di Bologna per adeguare la legislazione regionale mirata alla valorizzazione del ruolo istituzionale differenziato della Città metropolitana. Amareggia dover rilevare come tali questioni vengano concretamente affrontate in altre realtà del Paese e non a Napoli. A Milano si è costituito l'Osservatorio sulla Città metropolitana promosso dall'Associazione Miworld e realizzato da Makno e Politecnico con il sostegno di Intesa Sanpaolo. Il punto di partenza dell'azione dell'Osservatorio è relativo proprio alla dimensione provinciale ed è sorretto dall'intenzionalità di affrontare meglio la sfida della competitività in Italia e all'estero. Si tratta di un'iniziativa che decolla in una realtà chiaramente molto meglio collocata in questa traiettoria di sviluppo di quanto sia quella napoletana. In merito è interessante riflettere su quanto ha promosso la Regione Lombardia con propria legge, relativa alle disposizioni per la valorizzazione del ruolo istituzionale della Città Metropolitana di Milano e la riforma del sistema delle autonomie. Caposaldo del provvedimento è l'impegno della Regione per la valorizzazione dell'attività della Città Metropolitana a partire dal "governo e sviluppo strategico del territorio metropolitano". A sostegno di questo impegno è istituita la Conferenza permanente Regione-Città metropolitana per stabilire le linee programmatiche e le iniziative progettuali di raccordo tra il Programma di sviluppo della Regione e il piano strategico della Città Metropolitana. Centro dell'attività della Conferenza è proprio lo sviluppo del confronto sul processo di elaborazione del piano strategico con l'obiettivo di "garantire la competitività del sistema produttivo e l'attrattività raccordandosi con la Camera di Commercio di Milano". La prospettiva è la promozione di accordi per la competitività, favorendo il coinvolgimento di pubbliche amministrazioni, imprese, aggregazioni di imprese, distretti e filiere di piccole e medie imprese e enti bilaterali, con contestuale coinvolgimento dei Comuni, delle Province, delle Camere di commercio, delle parti sociali e degli ordini professionali, anche avvalendosi delle agenzie per le imprese. Va da sé quanto risulti necessario da parte di questi attori premere su Regione e sindaco metropolitano per tentare di mettere in moto quel processo di cui Napoli ha certamente più bisogno di Milano. Un processo oggi bloccato dall'inerzia del Comune capoluogo nell'organizzazione dell'elezione a suffragio universale del sindaco metropolitano prevista dall'articolo 18 dello statuto della Città metropolitana, previa costituzione delle zone omogenee e ripartizione del territorio comunale in zone dotate di autonomia amministrativa».

La nostra area metropolitana sconta anche una visione «Napoli-centrica»?

«È difficile riscontrare nella storia degli ultimi 50 anni un interesse positivo del capoluogo (istituzioni e attori sociali) per l'hinterland, con interventi utili e trasferimento di funzioni "pregiate", una visione metropolitana ante litteram. A mia memoria, questo si è verificato in poche occasioni: in parte negli anni Sessanta, con il piano per l'Area di sviluppo industriale, poi con l'ipotesi, naufragata, del Piano Comprensoriale di Napoli di Luigi Piccinato, nella seconda metà degli anni Ottanta con il Cis di Nola e all'inizio degli anni Novanta con la creazione del secondo Ateneo a Capua, Santa Maria Capua Vetere, Caserta e Aversa. Nessuna considerazione è stata riservata per l'area vasta nel Piano Strategico di Napoli impostato dalla giunta Iervolino, che, diversamente dagli indirizzi forniti dal Cipe nel 2004 per il finanziamento dei piani strategici del Mezzogiorno, ha trascurato del tutto la dimensione metropolitana. Eppure, come è noto, le condizioni di congestione e di degrado urbano sono fortissime nell'area metropolitana e soprattutto nella fascia dei comuni a nord del capoluogo. L'Osservatorio sulla Città metropolitana milanese pensava a una visione del futuro della realtà metropolitana a venti-trent'anni per potere così indirizzare un piano strategico di lungo periodo. In questo senso, non si può non condividere la considerazione del coordinatore dello studio, quando osservava che per "il successo competitivo di un'area metropolitana occorre una massa critica sufficiente a esprimere una domanda di beni e di servizi tale da garantire la crescita e lo sviluppo di un sistema di interconnessioni economico-sociali forti con il territorio". Una massa che per poter meglio competere è costretta ad allargarsi. Di fronte alla totale inerzia della Città metropolitana napoletana, con uno sguardo pubblico totalmente napoletanocentrico, resta una realtà territoriale sconfortante. Ma spesso i discorsi su Napoli sembrano subire l'irresistibile attrazione ad attorcigliarsi tra loro, come ossessionati dal fantasma dell'eredità del suo patrimonio storico e della sua bellezza. Un'eredità che incombe sulle analisi e paralizza le azioni. Mentre dovrebbe essere chiaro che "occorre saper riaffermare ciò che viene prima di noi", come sostiene il filosofo Jacques Derrida».