Brancaccio: «Edilizia paralizzata dal Covid e dalla burocrazia. È il momento di fare le riforme». E sul Superbonus: «Utile solo se si proroga»

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Più e peggio della pandemia che ha stravolto le nostre vite, può la vecchia, inesorabile burocrazia. Un virus che mina da tempo immemorabile il corpo di un Paese afflitto da legacci che vorrebbero proteggerlo e spesso finiscono per paralizzarlo. Federica Brancaccio, presidente dell'Acen, l'associazione che riunisce i costruttori edili napoletani, lo dice con sereno pragmatismo: «Con la pubblica amministrazione in smart working, i sopralluoghi tecnici, e dunque le autorizzazioni necessarie per andare avanti, hanno subito una brusca frenata». E, come se non bastasse, a paralizzare le imprese napoletane si aggiunge l'inattività della Commissione locale per il paesaggio, decaduta ormai da quattro mesi e non ancora rinnovata.

Presidente, in questi mesi segnati dalla pandemia la domanda di immobili si è ridotta?

« I dati dell'Ance parlano chiaro: c'è stato un crollo del mercato inevitabile, ma intanto i dati delle piattaforme per le compravendite dicono che si sono moltiplicati gli accessi per la ricerca di case, soprattutto per quelle con maggiore spazio interno e con uno spazio esterno. Tanto che nell'ambiente gira una battuta: "Vendesi giardino con casa annessa". Un'altra conseguenza indubitabile è stata il calo dei prezzi».

Per quanto riguarda l'edilizia, di quanto si è ridotta l'attività?

«C'è stata una flessione piuttosto consistente, stimabile più o meno intorno al 15 per cento. Questo riguarda il mercato privato, dove si registra la sofferenza maggiore, ma si sono fermati anche molti lavori pubblici. Tra l'altro, questa sottoproduzione viene aggravata dal fatto che in un cantiere, con la necessaria applicazione di tutti i protocolli anti-Covid, l'ora di lavoro rende in termini di produttività il 70-75 per cento».

Questa situazione ha condizionato anche la fiducia degli investitori?

«L'incertezza sulla durata dello stallo e in genere sulle prospettive crea danni, non c'è dubbio. Tutti i grandi spazi, in particolare gli uffici, sui quali si era concentrato il mercato immobiliare, si ridurranno sicuramente, a causa dello smart working. Si pone, allora, un tema di riconversione degli uffici che richiede una maggiore flessibilità dei nostri piani regolatori in modo da consentire cambi di destinazione d'uso. Per questo motivo ritengo che si debba mettere mano alla normativa urbanistica e dell'edilizia. Una revisione non è più rinviabile».

Non è l'unica ricaduta dello smart working sul vostro comparto.

«No, infatti. Lo smart working nella pubblica amministrazione crea un danno enorme sul piano del confronto pubblico-privato e per il rilascio degli atti assentivi agli interventi da realizzare. Il nostro settore ha bisogno di autorizzazioni per qualsiasi cosa, e di una presenza fisica sui cantieri dei tecnici incaricati dagli enti. Com'è facile dedurre, se questo non è possibile, si rallenta tutto».

A tutto questo va aggiunto il peso della burocrazia.

«Un peso atavico, che con la pandemia si è aggravato. Dobbiamo confrontarci con decreti complicatissimi, a volte di difficile interpretazione. In momenti di crisi come quello che stiamo vivendo, qualsiasi problema si accentua».

Una riscrittura dei canoni, insomma, è inevitabile anche nel settore delle costruzioni?

«Una tendenza in questo senso era chiara già prima, ma è esplosa con il Covid. La nostra regolamentazione è molto poco flessibile, mentre deve potersi adeguare alle esigenze di una società che cambia, anche a prescindere dal Covid. In tal senso, auspichiamo controlli puntuali, autocertificazioni e asseverazioni in luogo di un regime di autorizzazioni che imbavaglia e rallenta i processi produttivi. È necessario agevolare le imprese corrette e reprimere con efficacia i comportamenti illeciti, isolando le imprese scorrette».

Ritiene che il virus possa essere un'occasione per fare ciò che non si è fatto finora?

«Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, sì. Questo è il momento di fare quelle riforme strutturali che attendiamo da tempo: il codice degli appalti, la riforma del lavoro, quella fiscale e delle norme urbanistiche, e i nuovi piani regolatori. Servirebbero a rendere le regole più adatte alla velocità con cui cambia la società. Ora o mai più».

Il virus, intanto, avanza. Secondo lei, sarebbe stato meglio andare avanti con le limitazioni applicate fino a qualche giorno fa o una stretta era inevitabile?

«È una scelta molto complicata. Su questo ho una mia posizione personale, che non rappresenta quella associativa: la via di mezzo non serve. Le soluzioni intermedie creano comunque un danno all'economia, senza risolvere il problema sanitario. Il timore è che possano produrre un'agonia più lunga. D'altro canto, però, un lockdown totale crea un problema di tenuta economica e sociale. Anche se nel lockdown di marzo e aprile i cantieri essenziali sono andati avanti: le attività produttive hanno imparato ad applicare i protocolli. Quello che è saltato, invece, è il tracciamento. Ma era una sfida quasi impossibile, non si può dare la colpa a nessuno».

Sul piano sanitario, i cantieri sono sicuri? I lavoratori del mattone sono tutelati a sufficienza?

«La pandemia ha richiesto un'evoluzione così rapida che abbiamo dovuto correre e, ancora dobbiamo farlo, per aggiornarci continuamente. Di sicuro al cento per cento non c'è nulla, ma i cantieri sono controllati secondo protocolli stringenti, che adesso sono in aggiornamento. Basti pensare che a marzo le circolari del Ministero sconsigliavano l'uso della mascherina, oggi obbligatoria ovunque. Insomma, molto sta cambiando. Mi sento di dire che i cantieri, se gestiti con scrupolo e con una buona applicazione dei protocolli, sono tra le attività che possono andare avanti. Del resto, deve pur esserci qualche settore che sostenga l'economia e che alleggerisca il disastro economico. E quello dell'edilizia è un settore che ha una capacità di generare indotto, funzionando da moltiplicatore economico».

Aiuti e ristori sono sufficienti a compensare in una misura accettabile la mancanza di liquidità che subiscono le imprese di costruzioni?

«Nel settore dei lavori pubblici ci vengono riconosciuti soltanto alcuni costi diretti, come quelli sostenuti per l'acquisto di mascherine e termoscanner e per le sanificazioni, escludendo, ad esempio, quelli per i tamponi e le perdite da sottoproduzione. Troppo poco per definirci soddisfatti. La sensazione è che il governo stia andando in ordine di priorità, lo comprendo. Ma noi abbiamo il dovere di portare all'attenzione della politica le nostre esigenze. In più, spiace dover rimarcare ancora i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione e la difficoltà a compensare l'Iva non dovuta».

Tra le esigenze primarie c'è quella di tutelare i lavoratori. Trova che il blocco dei licenziamenti fino al 31 gennaio 2021 sia una misura giusta?

«Si tratta di un mero rinvio all'inevitabile, sarà purtroppo un disastro epocale. Avremo una quantità di licenziamenti concentrati in un periodo breve. Dovremo aspettarci un disastro sociale. Confesso che sono molto preoccupata».

Intanto, è arrivato il Superbonus al 110%, inserito nel Decreto Rilancio per favorire la messa in sicurezza e la riqualificazione energetica degli edifici. Può essere un'occasione in grado di produrre investimenti?

«È una misura eccezionale e di portata epocale, ma solo a patto che venga prorogata. Se non durerà solo una stagione, avrà effetti non solo sul piano economico, ma anche su quello ambientale, poiché impatta sul degrado e sul consumo di energia. E' fondamentale dare tempo ai cittadini di organizzarsi e alle imprese di investire. Il Covid sta ritardando tutto, dalle riunioni di condominio al rilascio dei permessi per iniziare le attività».

Voi avete richiesto con insistenza un allungamento dei tempi. Perché?

«Una proroga è necessaria perché, come ho detto, con la pubblica amministrazione in smart working si rallenta tutto. Ma a Napoli le cose vanno ancora peggio, in quanto che non c'è la Commissione locale per il paesaggio, decaduta a luglio e in attesa di nomina. Se si considera che tutto ciò che è sotto vincolo paesaggistico deve passare dalla Commissione, si capisce che in una città come la nostra, dove quel vincolo riguarda gran parte del territorio, una vacatio del genere finisce per paralizzare gran parte dell'attività. Per non parlare delle difficoltà nel reperire la documentazione per verificare la conformità urbanistica del costruito».

È preoccupata per il futuro prossimo?

«Sono molto preoccupata per la tenuta socio-economica del Paese e del Sud. Non sembra esserci ancora tra politici e amministratori la consapevolezza della portata della recessione che ci attende. Se poi questo disastro ci consentirà di avere una visione strategica del Paese, ne potremo uscire bene. Ma ci vuole un cambio di passo e di visione».

Le fa più paura il virus o la crisi economica e sociale?

«Senza dubbio la crisi economica. Sia chiaro, l'aspetto sanitario mi preoccupa molto e mi angoscia, tant'è vero che sono per una chiusura totale: bisogna dare precedenza alla salute. I virus, però, ci sono sempre stati. Si combattono, e oggi abbiamo più mezzi di prima. È il resto che mi preoccupa: il Covid passerà; la crisi, se non si predispongono azioni serie e strutturali, potrebbe durare a lungo. Il rischio è quello di superare il Covid e morire di crisi economica».