Canzoni senza palco: «Le istituzioni sostengano i privati»

I promoter Caccese, Gomez, Lino e Nitti: «Dopo il Neapolis, il vuoto. Un palazzetto per portare la città nel circuito dei grandi tour»

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Avevamo sulle spalle un quarto di secolo in meno quando Sigfrido Caccese, nel fuoco dell'estate 1997, fece sbarcare il grande rock sulla spianata post nucleare dell'ex Italsider, a pochi passi dal mare di Bagnoli. Con il Neapolis Festival la città dei mandolini e delle villanelle, di Scarlatti e di Cimarosa incontrò l'urto delle chitarre elettriche in una stagione che portò sotto le ciminiere spente star internazionali del calibro di David Bowie e Lenny Kravitz, Deep Purple e Jethro Tull, Aerosmith e Manu Chao. Troppe primavere dopo, Bagnoli, terra promessa e mai mantenuta, langue ancora in attesa di un destino annunciato mille volte. A una manciata di passi dai resti dell'acciaieria, le spoglie del palasport "Mario Argento", chiuso dal 1998, sono insieme un lugubre monumento all'incompiutezza e una testimonianza - non l'unica, certo - dell'inettitudine di una classe dirigente che cristallizza quello che chiama provvisorio fino a renderlo definitivo.

UNA STAGIONE FELICE

«Nel 1997, Tuborg voleva fare un festival in Italia e pensò ad una ex acciaieria. Erano in ballo Taranto e Napoli, scelsero la nostra città e si affidarono ad alcuni promoter locali – ricorda Caccese -. È stata una grande avventura, ma il pubblico non ha mai risposto come ci si aspettava. Basti pensare che nel '99 gli Aerosmith fecero appena 4mila spettatori, mentre oggi il Firenze Rocks, che occupa un'arena da 15mila posti, fa sold out già in prevendita. Negli anni, in compenso, abbiamo visto crescere l'incoming: più del 60 per cento del pubblico veniva da fuori Campania e il 5 per cento dall'estero. Significa che un grande festival è anche un'occasione di promozione turistica, un valore che alcune ricerche di marketing condotte da agenzie esterne all'organizzazione hanno dimostrato». Prove che non sono bastate a salvare quell'esperienza. «Riannodare il filo di quella storia? La voglia a me viene ogni anno, naturalmente la rassegna avrebbe un altro nome. Ma ho trovato un muro nelle istituzioni, non si è capito il valore di un festival internazionale di musica. All'epoca, con Bassolino eravamo sostenuti sia dal Comune che dalla Regione, ma nei dieci anni di de Magistris c'è stato il disastro».

Quel che è rimasto di una stagione felice durata tra alterne vicende 17 anni è un vuoto strutturale che solo sporadicamente viene colmato da sprazzi isolati di beatitudine. «Certo, mancano luoghi adeguati agli standard richiesti dagli spettacoli dal vivo che richiamano migliaia di spettatori - dice l'ideatore del Neapolis -. Quei luoghi dovrebbe crearli l'amministrazione pubblica. Negli anni scorsi, con la riapertura della ex Base Nato, con Peppe Gomez e Lele Nitti, avevamo trovato uno spazio per i live con una dimensione intorno alle 10mila persone. È un'area molto interessante per i concerti estivi, un punto dal quale l'imprenditoria privata del settore può ripartire. Vedremo quest'estate che cosa accadrà. Ma la grande mancanza di spazi per la musica si avverte ancora di più in inverno, con la mancanza di un Palasport». Ma questa, sostiene Caccese, è una storia che senza una sinergia tra pubblico e privato è impossibile cambiare. «Firenze Rocks è diventato il più grande festival italiano anche grazie al pieno appoggio istituzionale di cui ha goduto. L'Ufficio musica del Comune di Napoli? Ci speriamo, ma in questo momento l'investimento musicale ha bisogno di fondi per recuperare anni e anni persi. Ci basterebbe una frazione di quello che si investe sul Campania Teatro Festival per cambiare passo. L'aiuto che ci aspettiamo dalle istituzioni, però, non consiste solo nei finanziamenti». Già, perché le cose peggiori in Italia accadono quando la politica e la burocrazia si mettono d'impegno e si alleano per cospirare contro l'iniziativa di qualche imprenditore volenteroso. «Bagnoli sarebbe perfetta per una struttura da dedicare alla musica, peccato che manchi una visione: nel '98 chiedemmo di utilizzare la colmata per i concerti, ci risposero di no in quanto si doveva rimuovere. Sono passati quasi trent'anni e la colmata sta ancora lì. Quando facevamo il Neapolis, dovevamo pagare gli straordinari agli autisti dell'Anm per permettere ai ragazzi di tornare a casa dopo i concerti. Insomma, a volte sarebbe sufficiente qualche agevolazione di natura logistica per rendere le cose possibili».

DAGLI U2 AI COLDPLAY

Peppe Gomez, che nell'87 diede vita all'agenzia di prevendita Concerteria, negli ultimi trentacinque anni ha organizzato alcuni dei concerti che sono rimasti negli occhi, nelle orecchie e nel cuore della città che canta e balla. Da Vasco a George Benson, passando per il triumvirato Pino Daniele-Jovanotti-Ramazzotti e Laura Pausini. Ma il concerto della vita fu quello degli U2, che in un rovente venerdì del luglio 1993 fecero esplodere di adrenalina il San Paolo. Ad aprire la loro esibizione, nientemeno che i Velvet Underground di Lou Reed e un semi sconosciuto Ligabue. Trent'anni dopo, nello stesso stadio, ma con il nome di un altro santo, Gomez porta i Coldplay. «È il coronamento di tanti anni di attività. Trent'anni fa organizzammo con Sigfrido il concerto degli U2: eravamo giovani, poi c'è stato un lungo periodo di stagnazione. Adesso la doppia data di quella che, piaccia o no, è considerata la rock band più importante al mondo è una grande soddisfazione. Napoli è stata una scelta dei Coldplay, spero che possa servire a risvegliare l'interesse di altri management. Questo potrebbe dare spazio anche a tante esperienze collaterali, come accadde con il Neapolis. Allora pur di suonare ci si inventava gli spazi per la musica, adesso non abbiamo più neanche quelli inventati». Insomma, Canta Napoli, ma senza palco. «Si tratta di una mancanza atavica che oggi si fa più pressante per un certo tipo di produzioni che richiedono spazi non adattati, ma pensati per i live. A Napoli non possiamo disprezzare la presenza del Palapartenope, che ci ha permesso di vedere tante cose. Purtroppo la capienza non permette di fare tutto, ma grazie alla struttura di Fuorigrotta abbiamo supplito ad una mancanza che altrimenti sarebbe stata ben più problematica. Ora, però, si va sempre di più verso una richiesta di spazi con una capacità numerica e un'offerta di servizi che il Palapartenope non può soddisfare: una struttura portante capace di sostenere 20-25 tonnellate, almeno otto locali tra camerini ed uffici, ma soprattutto le dimensioni, che non possono essere ampliate: 6000-6500 posti sono pochi, e in molti casi i costi dei biglietti lieviterebbero in modo insostenibile. Del resto, qui tutti fanno una doppia data: non solo i Coldplay, ma anche Marracash e Rocco Hunt. Si parla da tanto tempo di un palazzetto che dovrebbe nascere sulle ceneri del Mario Argento, ma il progetto è fermo. Intanto, so che a Milano, dove oltre a San Siro e all'Ippodromo hanno già il Forum, l'Alcatraz, il Fabrique e i Magazzini Generali, si pensa ad un'arena di stampo europeo da circa 20mila spettatori. A Napoli, dove il pubblico non risponde come a Milano e a Roma, basterebbe una capienza tra i 9 e i 12mila. Una struttura del genere aprirebbe agli stranieri e segnerebbe una svolta». Colpa delle istituzioni? È troppo facile puntare il dito, ma sicuramente tutti i soggetti coinvolti potrebbero fare qualcosa di più. Le istituzioni dovrebbero agevolare i privati interessati. Sono sicuro che, con le multinazionali in campo, i privati investirebbero decine di milioni. La via era stata individuata, con due multinazionali come Eventeam e Live Nation alla finestra. Servirebbe un'accelerazione».

BRUCE AL PLEBISCITO, SOGNANDO GLI AC/DC

Anche Nicola Lino ha firmato alle pendici del Vesuvio grandi concerti: Springsteen, Ligabue a piazza Plebiscito, il Jova Beach party, il tributo a Pino Daniele allo stadio. E tra pochi giorni porterà prima il rapper Shiva alla Casa della Musica (15 marzo) e poi, il 22, Tommy Emmanuel, il più grande chitarrista acustico vivente, all'Acacia. «Un po' di cose belle le abbiamo fatte, è il futuro che spaventa», confessa. «Noi organizzatori di vecchia e nuova generazione siamo accomunati dal problema degli spazi per la musica. Il problema è così serio che molte produzioni al Sud Italia non vogliono venire più. E se vengono, i concerti vengono ospitati da strutture private con costi esosi che, come gli aumenti per i costi del personale, ricadono inevitabilmente sullo spettatore. Ecco perché nell'estate del 2023 in Campania ci saranno sei o sette concerti importanti, mentre alle Cave di Matera venticinque. Che cosa ci siamo persi in tutti questi anni? Tantissimi grandi nomi. Prima c'era il Palamaggiò, che però era a Caserta, dove potevi fare concerti da 14-15 bilici che al Palapartenope e all'Arena Flegrea non puoi portare. Così, tanti artisti vanno solo a Roma e a Milano. Ora Bologna si è messa in scia con l'Unipol Arena, una moderna arena che ospita fino a 12mila persone. Il mio sogno sarebbero gli AC/DC, ma non in piazza: non è un luogo adatto per un concerto, con Springsteen è stata una soluzione estrema. Non puoi chiedere ad un pubblico adulto di stare in piedi otto-dieci ore. Certo, anche quello è un deterrente per chi vorrebbe venire. In una condizione diversa, la risposta sarebbe stata migliore». Le ragioni di una crisi, secondo Lino, sono da ricercare soprattutto nell'inerzia delle istituzioni. «La maggior parte dei palazzetti sono stati realizzati con un'importante partecipazione pubblica, mentre qui ci sono progetti depositati da anni in Comune e Regione. Eppure certi concerti portano un turismo che Napoli non ha, di qualità più alta».

IL TALENT SCOUT: «SIAMO SOLI»

Lele Nitti, deus ex machina di "Ufficio K", da quasi trent'anni intercetta le nuove tendenze. C'è lui, ad esempio, con Peppe Gomez, dietro il concerto che la rockstar scozzese Paolo Nutini ha tenuto l'anno scorso al Belvedere di San Leucio. «Da sempre abbiamo un occhio attento alle culture giovanili. Abbiamo avuto la fortuna e l'intuizione di scoprire delle eccellenze prima di tutti e, a dispetto di un contesto non favorevole, siamo riusciti a portarle a Napoli con grandi sforziؕ», ricorda Nitti, che collabora anche con il Meeting del Mare di Camerota. Alla fine degli anni '90 al Notting Hill, un piccolo locale che si trovava a piazza Dante, abbiamo organizzato i primi concerti dei Subsonica, dei Marlene Kuntz, dei Bluvertigo, degli Afterhours e dei Prozac+, mentre al Flakabè, ai Ponti Rossi, abbiamo portato la Carmen Consoli di "Confusa e Felice" e all'Havana Club, a Pozzuoli, Caparezza. Nel 2008 - continua il promoter - allestimmo nel Palapartenope una sala bis che chiamammo provocatoriamente "Casa della Musica" per sottolineare che i privati stavano facendo ciò che altrove facevano le istituzioni. Nelle grandi città europee gli enti locali hanno sempre attrezzato luoghi adeguati agli spettacoli dal vivo per darli in gestione agli organizzatori. Poi c'è stata l'esplosione dell'indie-rock: nel 2010-2012 abbiamo portato i Thegiornalisti in un locale a Torre Annunziata, Lo Stato Sociale in un pub a Pomigliano d'Arco, Calcutta e Cosmo al Lanificio 25. Poi ci siamo inventati il "Suo Na" Festival, con nuove proposte che poi sono diventate mainstream. Di fronte a tanta intraprendenza, mi domando: che cosa fanno le istituzioni per la musica in questa città? La risposta è sotto gli occhi di tutti: solo azioni spot, come i Capodanni, che non sono mai mancati. Di investimenti, nemmeno l'ombra. E allora i concerti finiscono nelle strutture dei privati come il Duel, dove proponiamo anche tanta musica rap. Facciamo quello che possiamo, arrangiandoci da soli. Il fatto che manchi un assessore alla Cultura non è un dettaglio: non abbiamo riferimenti politici, ci manca un interlocutore. Questo per noi è un problema. Eppure, da Renato Nicolini a Rachele Furfaro a Nino Daniele, abbiamo avuto grandi assessori. Se l'Ufficio musica del Comune alimenta delle speranze? Se ci lavorassero dei grandi professionisti, sarebbe utile».