Casa e città al tempo della pandemia

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Le città di domani è il titolo di una rubrica che, come In/Arch Campania, abbiamo curato sin dall’inizio di Nagorà, ormai cinque anni fa. Di volta in volta abbiamo selezionato un tema o un luogo di Napoli e del suo territorio metropolitano, valutando progetti, proposte e iniziative nel campo dell’architettura e dell’urbanistica, a confronto con interventi analoghi realizzati in altre città, in Italia e nel mondo, per avviare momenti di approfondimento e di riflessione sulle dinamiche e sui processi trasformativi nelle aree urbane, partendo proprio da Napoli. In epoca di pandemia questo genere di riflessione appare oggi ancora più appropriata, specie per le città, perché i profondi cambiamenti negli stili di vita e nei comportamenti individuali ci hanno obbligato a rimettere in discussione molte delle certezze della cultura urbana del novecento. 

Ci è voluta la pandemia per costringerci a guardare in faccia la realtà. Per comprendere che forse eravamo arrivati in fondo ad una certa idea di progresso, a quelle ‘magnifiche sorti e progressive’ ora miseramente crollate perché minate alla base da un organismo molto piccolo, un virus della contemporaneità, che ne ha messo in evidenza tutta la debolezza. Un evento catastrofico che tuttavia, come spesso è accaduto con le grandi pandemie del passato, potrebbe rappresentare l’occasione per una svolta epocale, per un ripensamento profondo delle città e dei nostri ambienti di vita. 

Molti temi già presenti nelle agende urbane di questi anni hanno acquisito, in questa fase, una forte accelerazione. Partiamo dal primo livello, quello della casa. Erano almeno venti anni che già si teorizzava di telelavoro, della possibilità di lavorare da casa e, dunque, di un’idea diversa di città con zone prevalentemente monofunzionali e un rapporto da ridefinire tra aree centrali, tessuti urbani intermedi e aree periurbane di margine. Un modello urbano della modernità che, in questa fase, è andato definitivamente in crisi.

Ci siamo convinti della necessità di rivedere l’assunto modernista dell’existenz minimum, in particolare per l’alloggio sociale, ampliando le dimensioni minime della superficie residenziale, accogliendo la previsione di ulteriori spazi dedicati al lavoro a distanza e disponendo possibilmente anche di uno spazio aperto, meglio se uno spazio verde. La casa ha reso più esplicita, nell’epoca della pandemia, una maggiore disuguaglianza sociale, rendendo inoltre più evidente, nel salto di scala, l’assenza ormai almeno ventennale nel nostro paese di politiche per la casa e per l’alloggio sociale. Le nuove domande dell’abitare contemporaneo, che altrove hanno trovato specifica accoglienza con programmi e politiche adeguate, qui stentano ancora oggi ad essere riconosciute. 

In questo senso sarebbe opportuno considerare, nell’ambito del Next Generation UE, la necessità di definire un grande Piano Nazionale per l’Abitare Sostenibile che riesca finalmente a rispondere ad un fabbisogno, ormai consolidato, di una nuova domanda abitativa sociale nel nostro paese. Accanto a questo tema, oggi prioritario, si accompagnano ulteriori istanze di carattere più generale come ad esempio le comunità energetiche, le azioni di decarbonizzazione, e il concetto dell’economia circolare nei processi produttivi, che trovano nella transizione ecologica una sintesi efficace ma che, proprio per questo, è opportuno ritrovino un’altrettanta concreta applicazione nelle strategie di pianificazione urbanistica e territoriale e nelle politiche urbane. Questo significa aggiornare con urgenza gli strumenti di pianificazione affinché, attraverso una matura coscienza ambientale, riescano ad attivare azioni efficaci di trasformazione dei territori, integrandoli con le scelte di programmazione e con l’uso intelligente delle risorse che arrivano dall’Europa. 

A questo quadro più generale di riflessione si aggiunge quello riferito a specifiche realtà urbane, Napoli ad esempio, che si trova in questo momento in una delicata fase di passaggio elettorale. Cinque anni fa, alle soglie della precedente scadenza elettorale, Paolo Macry scriveva nell’editoriale del primo numero di Nagorà, che Napoli si trovava allora a un bivio. Il bivio tra l’assuefazione a una crisi strutturale e culturale di una città urbanisticamente immobile e architettonicamente degradata e la necessità di una mobilitazione collettiva. Una mobilitazione delle forze politiche ma anche di quel tessuto civile di cittadini, di competenze, di associazioni e di eccellenze d’impresa che costituiscono il corpo vivo della città. Non c’è dubbio che Napoli, dal punto di vista urbanistico e architettonico, si trova oggi in una condizione analoga, se non peggiore. Senza una consapevolezza della sua dimensione metropolitana e senza una chiara visione di quale sarà la città di domani, si potrebbe dire che Napoli oggi parte da zero. E quell’appello alla mobilitazione risulta essere, oggi più di allora, quanto mai attuale e urgente.