A Napoli anche la gentrificazione, la progressiva trasformazione di un’area centrale degradata in residenza per il ceto medio - alto, è riuscita a trovare un’espressione locale nell’assenza di ogni processo di rinnovamento che, altrove, accompagna abitualmente questo fenomeno.
Con ogni buona volontà, non possiamo registrare nessun cambiamento radicale nel diffuso degrado della condizione del Centro Antico e urbano in generale, se non nell’ epidermico maquillage dell’arredo e in alcuni restauri significativi ma isolati e dispersi.
Il Programma Integrato Urbano per il Centro Storico Unesco (P.I.U), si presentava, incredibile dictu nel 2006, come un ambizioso programma di circa 130 interventi che, se coordinati in un’operazione organica e progressiva, avrebbero potuto vincere un’antica inerzia ed innescare un graduale recupero del nucleo antico della città che viveva, allora, un clima di “vigilia”.
Se il P.I.U. fosse andato a “regime”, con una contestuale riqualificazione del patrimonio abitativo, si sarebbe creata una sponda solida da offrire all’onda turistica che, da circa dieci anni, è andata progressivamente montando, travolgendo assetti consolidati e l’uso moderato di un contesto fragile.
Nel frattempo, la temuta “espulsione” degli abitanti dal centro prosegue indisturbata, a dispetto delle grida che si levano puntualmente altissime di fronte ad ogni ipotesi d’intervento, per effetto delle logiche di mercato e di una politica urbanistica fino ad oggi incapace di contrastarle.
I più fortunati, si rassegnano a migrare a pochi chilometri dalla città in parchi residenziali che saturano - per dirla con Pasolini - gli “ultimi prati” - dove, a costi relativamente accessibili, si ottengono standards irreperibili nel centro: spazi di sosta e aree a verde per il gioco ed il tempo libero.
Su questo terreno già instabile è calata quella che Alessandra Esposito, nel documentato ed approfondito saggio Le Case degli Altri, ha definito “turistificazione del residenziale”: l’espansione incontrollata delle locazioni turistiche che si offre sullo scenario urbano come il più conveniente investimento a basso costo ed alto profitto.
Un fenomeno che concorre all’allontanamento dei residenti e alla crisi dell’artigianato di tradizione, come ricordato da Gabriella Reale, con la rara eccezione di quel ridotto contingente che, a prezzo di enormi sacrifici, ha potuto acquistare modeste abitazioni e botteghe nelle pause delle ricorrenti bolle immobiliari.
Una volta, come scriveva Antonio Rao, «l’integrazione tra Napoli borghese e plebea […] avveniva attorno ad un numero ristretto di professionisti piccolo - borghesi i quali iniettavano una certa quantità di reddito nella zona da essi influenzata» sostenendo il piccolo artigianato, le attività di servizio ed il commercio al minuto. In questo senso, il turismo è un soccorso inaspettato per le aree degradate, ma le locazioni, spesso, corrono lungo la Rete che scavalca le inestricabili maglie urbane, dalle calli di Venezia ai vicoli di Napoli, intrecciando, su piattaforme digitali come AirBnb, mediazioni che non hanno ricadute economiche se non per i proprietari immobiliari.
Esemplare la vicenda dei bassi che all’apogeo di una modernità “sanitaria” erano visti come espressioni del sottosviluppo e di abitudini di vita da sradicare e nella mistificazione di AirBnb, si convertono in abitazioni tipiche in cui vivere un’autentica esperienza di vita locale.
A dispetto di una letteratura critica che va dalla Serao al teso e drammatico monologo di Filomena Marturano, l’investimento a costo ridotto ed altissima resa scende, dunque, alla scala del “basso”, denunciando, ancora una volta, l’ingenuità della strategia per il Centro Storico del Prg del 2004, che reclamava il soccorso dei privati senza offrire nessun valido incentivo.
In un suo recente “Va Pensiero”, Paolo Macry, si chiedeva se occorre più Stato, rilevando l’insufficienza di politiche che «[…] appaiono incompatibili con i confini amministrativi del paese […]». La dimensione locale, assolutamente inadeguata ad arginare un fenomeno globale, richiede un intervento dello Stato che protegga la composizione del tessuto sociale, mantenendo una soglia ragionevole di residenti grazie ad un programma di edilizia residenziale pubblica nei centri storici.
Dovremmo, tuttavia, cercare di allargare il quadro alla grande esclusa, la Città Metropolitana, e chiederci come distribuire equamente la ricchezza prodotta dal turismo e quale ruolo possano avere, in particolare, i comuni a nord di Napoli che gravitano nella sfera d’influenza della città. Quelli che una volta erano gli antichi “casali”, la cui identità si caratterizzava per le produzioni alimentari o le attività tipiche, dovrebbero rientrare in «una visione condivisa», come sottolineava Gennaro Biondi, e riprendere uno scambio fertile con il capoluogo per scongiurare il rischio che si trasformino definitivamente in una periferia urbana senza soluzione di continuità.
© Riccardo RosiSegretario InArch Campania