Claudio Mattone: «Rancore, egoismo e ansia di apparire: ecco la nuova pandemia»

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C'è il suo genio, dietro alcune delle perle più scintillanti della nostra canzone: dall'intramontabile Ancora di Eduardo De Crescenzo ai motivetti divertiti della carboneria catodica apparecchiata col favore delle tenebre dal mastro di festa Renzo Arbore. Che si tratti di sentimento o di goliardia, nel suo mezzo secolo abbondante di carriera Claudio Mattone non ha sbagliato un colpo. Non a caso, Arbore e De Crescenzo sono solo due degli artisti con i quali il sodalizio è stato più lungo e proficuo. Le canzoni scritte dal compositore e paroliere napoletano (nato a Santa Maria a Vico, ma cresciuto nel popolare rione Vasto) le hanno cantate Renato Carosone, Sergio Endrigo, Gianni Morandi, Mia Martini, Bruno Martino, Peppino Di Capri, Alberto Sordi, Gigi Proietti. E l'elenco sarebbe ancora lungo.

Pluripremiato autore di musiche e testi per la canzone, la tv e il teatro (a lui si è rivolta anche la premiata ditta Garinei e Giovannini), cecchino infallibile quando si tratta di far risonare le corde delle emozioni, Mattone ha inventato un suono personalissimo grazie ad una musicalità capace di imprimere, nel perfetto abbraccio tra melodia e armonia, un marchio di fabbrica alle sue creazioni.

Nel 1990 l'autore vince il David di Donatello e il Nastro d'Argento come miglior musicista per la colonna sonora del film Scugnizzi, diretto da Nanni Loy, al quale si ispirerà diversi anni dopo per la scrittura e la messa in scena del musical teatrale C'era una volta...Scugnizziche tra il 2001 e il 2011 sbancò il botteghino con 600 repliche e più di 700.000 spettatori rapiti da un racconto di amore, di povertà e di amori poveri. Un'epica del vicolo nella quale si consumava il braccio di ferro tra la tentazione di cedere alle lusinghe criminali e la smania di sovvertire il disordine costituito. Quell'esperienza collettiva è diventata una fucina di talenti: accanto ai già affermati Massimiliano Gallo e Sal Da Vinci, spiccano i nomi di Andrea Sannino e Serena Rossi, allora giovanissimi. Da quei valori, secondo Mattone, si dovrebbe ripartire per sanare le ferite morali che la pandemia ha inferto al corpo stanco della nostra società.

Maestro Mattone, come siamo usciti da questi due anni di pandemia?

«Intanto lasciamo a casa il "maestro", che mi responsabilizza troppo. Vorrei dare una risposta in qualche modo ottimistica, ma è difficile. Siamo tutti a pezzi, sia fisicamente che psicologicamente, tutti un po' più grassi, più soli e incattiviti (io personalmente spero di no, ma non so...). Si è arrivati a guardare con astio chi ha la precedenza e passa per primo, chi mette la mascherina e chi non la mette... una società disturbata e impoverita nell'animo. E la solidarietà? E il prossimo tuo? Roba fuori moda. Forse non è solo conseguenza della pandemia, ma di un processo epocale, nel quale conti solo tu ed esisti solo se sei protagonista. Magari da solo con un telefonino, ma protagonista. I social e i media hanno una grande responsabilità in questo. C'è una frenesia, un'ansia di visibilità diffusa e inarrestabile, che ciascuno manifesta a suo modo e al suo livello. Questa è la nuova pandemia. Più subdola persino del danaro. Giuro che vorrei sbagliare».

Quanto e come il distanziamento e la paura hanno cambiato la musica e lo spettacolo dal vivo in Italia?

«A parte la crisi evidente che ha coinvolto tutto il settore, mi sembra che ci sia una certa ripresa e grande partecipazione da parte di un pubblico affamato e desideroso di "esserci"».

Rispetto al 2019, ritiene sia cambiato anche il mercato discografico?

«Il mercato discografico è cambiato da molto prima. Oggi tutti, e in particolare i giovani, hanno la possibilità di produrre musica a casa propria e metterla sul mercato, anzi in rete, senza chiedere autorizzazione a nessuno. Questo porta automaticamente a una sovrapproduzione, che mescola tutto e cambia le regole del gioco. Quando iniziavo in RCA, prima di arrivare a registrare una canzone, con tutti i soldi che occorrevano, bisognava passare attraverso molti filtri e giudizi: settore artistico, promozione, vendita, test d'ascolto col pubblico, insomma una serie di esami che davvero non finivano mai (per citare Eduardo De Filippo) e poi, per ultimo, il giudizio finale del pubblico. Un'odissea! Oggi, da una parte fa piacere che i giovani abbiano più libertà creativa e meno ansie, dall'altra però c'è il rischio che si perda quella sana abitudine all'autocritica, che rende migliori gli artisti e affina la loro ricerca. Il tempo cammina e le cose cambiano senza chiederci un parere. Bisogna alzare lo sguardo e cercare di capire. E chest'è!». 

Dal suo punto di vista, facendo un bilancio di questi due anni orribili, ci sono state esclusivamente ricadute negative o si sono aperti anche nuovi orizzonti?

«Spero, spero, spero che si aprano orizzonti nuovi. Al momento non so dire».

Chi viveva in condizioni di povertà, ai margini della società e a volte anche della legalità, è mediamente più povero e più disgraziato? Per gli "Scugnizzi" di Napoli e del mondo c'è qualche speranza in meno?

«Le speranze vanno sempre alimentate. Io ho lavorato spesso con i giovani e ne ho incontrati di straordinari anche tra quelli più apparentemente irrecuperabili. Sono loro il futuro e la speranza. È su di loro, sulla loro educazione civile e scolastica, che dobbiamo investire, smettendo di considerarli solo un grande serbatoio di nuovi consumatori».

Oggi viviamo un grande ritorno alle adunate di piazza e negli stadi e le città d'arte - tra queste, la sua - sono tornate a riempirsi di turisti. C'è grande fame di esperienze collettive, di emozioni condivise, di incontrarsi e confrontarsi. La musica, l'arte e la cultura in generale, potranno aiutarci a ritrovare quel senso di comunità che si è un po' smarrito?

«Lo spero e tutto il movimento che si vede lo fa pensare. Che non sia solo una reazione alla lunga chiusura... Incrociamo le dita!».