Conoscere la vulnerabilità delle nostre case

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La messa in sicurezza del patrimonio edilizio esistente è un tema cruciale per i cittadini. Ed allora è spontaneo chiedersi: perché non si procede?

E’ innanzitutto una questione di sensibilità, praticamente nessun cittadino ha conoscenza della “vulnerabilità” del proprio edificio. Ci si interessa del problema, anche con grande intensità emotiva, in seguito ad eventi disastrosi come il recente terremoto del centro Italia o il recentissimo crollo della palazzina a Roma, ma dopo poche settimane crolla la tensione e tutto prosegue come prima. Questa volta pare che il governo voglia avocare direttamente a Palazzo Chigi la questione, ed è un segnale importante. Tutto da vedere come si proseguirà: certamente noi cittadini dovremmo pretendere di più.

E’ un problema di mancanza di regole tecniche? No, assolutamente, le regole tecniche esistono in Italia dal 2004. Da quando un gruppo di docenti di Tecnica delle Costruzioni, fra cui anche il sottoscritto, preparò la famosa “Ordinanza” di Protezione Civile. Un modo decisamente anomalo che dovemmo trovare per produrre una normativa moderna, poi riavviato all’ordinario con le Norme tecniche approvate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici negli anni seguenti. A giorni potrebbe uscire la nuova versione, sempre con un intero capitolo ed una estesa parte della circolare dedicato agli edifici esistenti. Così come esiste l’unicum di grandissimo valore di tutte le esperienze, tecniche e finanziarie, maturate con l’enorme lavoro di interventi sugli edifici esistenti del post terremoto di L’Aquila, estesamente documentato e facilmente reperibile dal sito del Consorzio Interuniversitario Reluis. Dunque il problema non è tecnico, anzi mi sento di affermare che l’Italia è all’avanguardia assoluta sull’argomento, anche in termini di tecnologie di intervento.

Il problema è invece di regole e di finanziamenti. Personalmente non sono favorevole al “certificato antisismico”, anzi il solo nome mi fa rabbrividire. Un tecnico è in grado di certificare che un edificio sia antisismico? Assolutamente no, io non lo farei mai; niente a che vedere con la certificazione energetica, in cui si fanno misure precise, quasi deterministiche, con condizioni al contorno di temperatura e umidità ben definite; e dove si usano materiali e tecnologie realizzate ad hoc, con piena affidabilità e misura delle prestazioni. Nell’ingegneria sismica degli edifici esistenti siamo invece in pieno mondo probabilistico, sia in termini di resistenze dei materiali e delle strutture, ma soprattutto in termini di azioni sismiche. Senza chiarire qual è il rischio accettato, il periodo di ritorno dell’evento prescelto nelle analisi e tante altre valutazioni probabilistiche, assolutamente non è possibile dare alcuna risposta logica. Dunque per cortesia non diamo definizioni che possono essere accattivanti, ma alla fine aumentano solo la confusione. Il massimo che tecnicamente si può fare è valutare la vulnerabilità degli edifici e confrontarla con quella accettata dalle norme per gli edifici esistenti. Che comunque non è assoluta ma fa riferimento a precise condizioni probabilistiche sui periodi di ritorno degli eventi.

Quello che invece certamente si può fare, finalmente, è l’avvio della raccolta di documentazione tecnica degli edifici. Che poi vogliamo chiamarla certificato o libretto del fabbricato o in altro modo, poco conta. Partendo dalla raccolta dei dati costruttivi esistenti. Dal 1976 in Italia vi è l’obbligo del collaudo statico e gli atti costruttivi, dal progetto alla verifica sul campo dei materiali ed alle prove di carico, devono esistere, depositate presso il Genio Civile competente. Così come in precedenza esistevano altre forme di deposito, sempre presso uffici pubblici. Questi archivi devono per Legge essere messi a disposizione dei cittadini, tanto dei condomini che ne facciano richiesta, quanto delle istituzione pubbliche che sono proprietarie e responsabili di molti edifici strategici.

Un tecnico attento è in grado di dare prime valutazioni preliminari della vulnerabilità sismica dell’edificio già dall’esame dei progetti e dagli atti di collaudo. Ed un esperto di Ingegneria sismica è in grado di individuare le situazioni più a rischio, così come è in grado di stabilire quanto estesa debba essere la squadra che deve effettuare l’analisi: basta solo lo strutturista, ci vogliono anche competenze geotecniche, il problema ha una dimensione in cui è necessario un geologo? Tutte domande a cui può rispondere. E soprattutto parliamo di esperti e non dei tuttologi di qualunque disciplina che nelle settimane dopo il recente terremoto hanno trionfato, invadendo di inesattezze le case gli italiani, che certamente ne sono usciti frastornati e confusi. E l’esperto strutturista è in grado di individuare le eventuali, ribadisco eventuali, situazioni a elevato rischio che vanno approfondite con calcoli specifici ed eventualmente altre prove, come chiaramente illustrato nelle Norme tecniche. Devo ricordare – scusate se sono noioso – che il Rischio è composto da tre fattori: Pericolosità, Vulnerabilità, Esposizione. Cioè certamente la massima attenzione va riposta nelle zone a maggiore “pericolosità” sismica, chiaramente individuate dalle normative in base agli studi di geofisica; aggiungo, purtroppo studi che hanno visto la luce solo dagli anni 80 con il Progetto Geodinamica: che grande colpa non aver imposto una classificazione sismica logica già nel dopoguerra! E poi conta la “vulnerabilità” degli edifici. Non vi è dubbio che spesso nei piccoli centri dell’appennino ancora esistano patrimoni edilizi di estrema vulnerabilità e il recente terremoto non fa che confermarcelo. Ma alto rischio può anche esservi in centri moderni ed evoluti, a bassa o media pericolosità, dove però non si è mai costruito con una concezione antisismica, come ad esempio è successo nel recente terremoto emiliano. Infine va considerata la “Esposizione” e cioè elevata priorità va data a ospedali, scuole, edifici pubblici con funzione di protezione civile. Ed io aggiungo anche Musei. Cioè ad edifici che sono fondamentali per la protezione civile, oppure frequentati contemporaneamente da molti cittadini, o ancora pieni di oggetti di grande valore. Sulle priorità di Rischio deve chiaramente intervenire lo Stato, con regole precise e con investimenti in studi che però non sono molto grandi. Dire che l’Italia è tutta uguale e che si deve procedere sempre allo stesso modo non è corretto e non può che portare al blocco di qualunque intervento. Nessuna persona di buon senso può credere che il rischio sismico di Milano o di Torino sia uguale a quello di Benevento o di Catania.

Rimane poi tutta la problematica finanziaria: incentivi, investimenti, assicurazioni? Basta una politica di incentivi fiscali per stimolare i privati? Lo Stato e l’opinione pubblica sono disponibili ad investire percentuali rilevanti della tassazione generale per questo tipo di sicurezza? Come affrontare il tema delle assicurazioni senza che diventino tasse per i cittadini sfortunati che vivono nelle zone a rischio? Domande cruciali, anzi direi temi Politici con la P maiuscola, che per adesso lasciamo proprio alla Politica.