Cosa mi aspetto dai costruttori napoletani

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Prendo sul serio il bivio indicato da Macry nell’editoriale. Non rassegnandomi alla crisi strutturale e fidando – ingenuamente secondo De Masi, ma allora decidiamo di morire in silenzio e buonanotte… – sulla presenza diffusa in città di competenze, motivazioni, orientamenti di valore, capacità di azione, qualità morali, energie, tradizioni sociali compatibili con l’economia di mercato e globale dei nostri giorni. È una convinzione della ragione, fondata sulla conoscenza, e della volontà: che alternativa abbiamo?

Ma per prendere sul serio questo bivio occorre andare dritti al tema dello sviluppo, attingendo agli studi più seri e internazionalmente riconosciuti. Tutti puntano l’attenzione sulla capacità delle classi dirigenti di giocare un ruolo propulsivo, con differenze (da cui il dibattito, talora anche acceso) che riguardano l’origine dei processi emergenti: la cultura, i contesti istituzionali, la politica in senso stretto, la tecnologia, la geografia, la geopolitica. Che siano qualità derivate o intrinseche delle classi dirigenti, la capacità di azione (soprattutto nei confronti dei decisori politici), di produzione di beni pubblici, di promozione dell’innovazione, di correttezza negli affari, di orientamento alla comunità sono le condizioni necessarie di ogni percorso di sviluppo o comunque di un accettabile funzionamento dell’economia e quindi della qualità sociale.

Dall’associazione costruttori viene l’invito a contribuire in questa direzione. È un invito importante e impegnativo soprattutto per chi lo promuove, proprio per il ruolo di responsabilità nei processi di sviluppo della città ricoperto dall’associazione. Le competenze tecniche e imprenditoriali nel campo dell’edilizia costituiscono un patrimonio importante della città e di tutto il paese se consideriamo i tanti lavori aggiudicati in altre parti d’Italia. Ma insieme a questo va considerata la capacità di azione civile e politica. Nel corso della prima repubblica i costruttori napoletani sono stati la stampella economica di un regime urbano (in senso tecnico) centrato sulla Democrazia Cristiana che insieme a importanti risultati sul piano della diffusione del benessere si è assunto pesanti responsabilità proprio in relazione ai comportamenti disfunzionali per lo sviluppo (illegalità, clientelismo, corruzione, scarsa innovazione).

Nella seconda repubblica – anche per il passaggio generazionale e forse per un senso di colpa comprensibile ma non giustificabile – l’associazione è sparita dalla scena pubblica (ma lo stesso si può dire per le altre organizzazioni di impresa). Riluttante o incapace di incidere nella selezione e orientamento dei vertici politici. Un eccesso di protagonismo in una fase e un deficit di responsabilità in un’altra. Questa iniziativa può considerarsi prodromica a una terza via?