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Ho sperato fino alla fine che fosse una fake news, andando affannosamente da un sito all’altro, con un crescente stato d’ansia. Poi mi sono dovuto arrendere.

La tristezza di questo pomeriggio del 25 novembre 2020 non la dimenticherò facilmente. Già provato da una pandemia che rende tutto ciò che ci circonda sempre più deprimente, dalle strade vuote alle vetrine spente, dalle immagini nei TG ai dibattiti tra i virologi, ho avuto la sensazione che si fosse chiusa una parte della mia vita. Sono andato, così, con la mente a quel giorno del 1984 quando Diego arrivò a Napoli accolto al San Paolo da 60 mila tifosi, tra cui il sottoscritto, e ho rivisto tutti i momenti più salienti di quegli anni: il goal con la Juventus su punizione, il pallonetto con la Lazio, i goal al Milan in casa e all’Inter a San Siro, tanto per citarne alcuni, le sensazioni indimenticabili delle partite in trasferta, alle quali era un delitto mancare, i viaggi notturni verso Genova, Torino, Milano e Verona, compreso quello per Stoccarda in una notte così bella da sembrare finta. E poi ho pensato alla sofferenza dell’uomo, alle sue debolezze, ai suoi drammi interiori, alla sua vita recente. Ho contato, poi, gli anni trascorsi da quell’annuncio che fece impazzire una città intera e ho avuto per un attimo la sensazione che tutto fosse rimasto come allora. Napoli, la sua gente, la sua sofferenza, il dramma del lavoro per i giovani, la mancanza di visioni e prospettive. Allora, però, ci pensò Diego a dare uno scossone a tutta la città, a rappresentare quel desiderio di rivincita verso le aree più sviluppate del Nord, verso le società più organizzate. A dimostrare, cioè, che anche a Napoli si poteva fare, che anche qui sapevamo vincere. Per questo il suo legame con la città è stato così forte e duraturo. Diego, infatti, non solo rappresentava per Napoli il campione più grande di tutti i tempi ma interpretava come nessun altro i sentimenti di questa città, la sua vera anima.

Per questo resterà napoletano in eterno.

Francesco Tuccillo