Dalla folla alla fila: l'autunno "freddo" del tifoso

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La società contemporanea ha assunto da tempo la folla come paradigma della socialità, il fare gruppo per contrastare la solitudine e la marginalizzazione economica. Ha assegnato allo "stadio " il ruolo di luogo dove consumare due dei maggiori riti collettivi, vale a dire il calcio ed i concerti musicali, ovvero quegli eventi che esprimono il massimo dell'interclassismo sul piano dei comportamenti e dei linguaggi. Sul prato verde del " San Paolo" sono stato testimone di momenti tra i più intensi dal punto di vista emozionale, dalla semplice presentazione di Maradona a 60.000 persone in delirio in un giorno feriale, allo scudetto del 1987 che fece di Napoli un'unica comunità sociale dal Vomero a Scampia, che orgogliosamente viveva il suo diritto di competere alla pari con Torino e Milano, ovvero con le realtà urbane più dinamiche del Paese, mentre la città già si segnalava per uno strisciante ed irreversibile declino etico ed economico.

Il rito della partita domenicale e della trasferta al San Paolo trovava la sua sintesi nella folla che si esprimeva in modo emblematico nel domenicale corteo "azzurro" in cui giovani e non più giovani, borghesi e proletari si riconoscevano nello stesso linguaggio, quello tecnico ricavato dalla lettura settimanale dei quotidiani sportivi, che in modo virtuale assegnavano il titolo di "allenatore" a chiunque lo richiedesse. Unico caso in un ambiente votato per sua natura alla divisione. Insomma lo stadio rappresentava la cattedrale del tifo ed i tifosi i suoi fedeli sacerdoti.

Tutto ciò entra in crisi nella fase in cui viviamo a causa dell'emergenza sanitaria, ma attenzione a non banalizzare il tifo ad un semplice prodotto di consumo obsoleto e lo stadio ad un luogo di romantici ricordi.  Alla folla che si riconosceva comunità, seppure vociante e disordinata, si è sostituita oggi la fila, ovvero un'ordinata adunanza di persone senza simboli e bandiere, espressione di una sommatoria di solitudini, paure e malinconie. Eppure sono gli stessi soggetti che litigavano su tattiche e strategie della squadra del cuore e che, invece, oggi si confrontano a bassa voce sull'efficacia dei "tamponi " o sulla disponibilità futura del vaccino. 

Se è vero che il calcio, al pari della musica, è come il tango argentino, che vive di passioni e malinconie,  il tifoso non può essere ridotto a semplice spettatore televisivo poiché egli "vive" la partita come strumento di comunicazione  e lo stadio come luogo di socializzazione. Allora bisogna convogliare in fretta  l'ansia, estesa e diffusa, verso una sola componente, quella della sicurezza personale, il che richiede un'azione istituzionale tale da sollecitare nuovi comportamenti collettivi nel mondo dello sport come  nella società nel suo complesso.