Della Gatta (Ance Campania): «Sud, ultima chiamata. Un piano straordinario di assunzioni per rilanciare l'azione dei nostri Comuni»

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Un segno più alla voce «giovani qualificati» e un bel meno alla voce «burocrazia». Secondo Luigi Della Gatta, 41 anni, imprenditore edile casertano da quattro mesi presidente dell'Ance Campania, sono questi i pilastri sui quali bisogna edificare il riscatto del Sud. E su questi presupposti bisogna puntare se si vuole evitare che la grande promessa del Pnrr non appassisca nell'ennesima illusione. «Per giocarci bene questa chance, è indispensabile un piano straordinario di assunzioni: da qui passa il rilancio o la condanna definitiva del Mezzogiorno», sostiene Della Gatta, già presidente dei costruttori di Terra di Lavoro.

Che cosa si aspetta il mondo delle costruzioni dal Pnrr?

«A questa domanda ho risposto nel corso di un convegno che si è tenuto di recente, al quale ha preso parte anche il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Ho ricordato quello che Mario Abbadessa, 38enne napoletano a capo di Hines, uno dei maggiori fondi immobiliari che si occupano su scala internazionale di rigenerazione urbana, ha detto in mia presenza, raccontando che hanno liquidità bloccate in Lussemburgo per un costo finanziario per 1 miliardo di euro in quanto non riescono ad allocare risorse da Bologna in giù, specificando che sarebbero ben lieti di investire quei soldi al Sud. Invece, mentre a Milano riqualificano l'ex area Falck, a Napoli non riescono a fare lo stesso con Bagnoli e l'area Est, del cui futuro pure si parla invano da decenni e che segnano il timing della nostra inoperatività. Una cosa che mi ha molto colpito. Ecco, se il Pnrr ci deve dare qualcosa, dev'essere soprattutto in termini di normativa, altrimenti ci troviamo di fronte a una mole enorme di danaro, che per le costruzioni ammonta a circa 100 miliardi, ai quali vanno aggiunti i fondi strutturali europei della nuova programmazione 2021-2027, senza trarne beneficio».

Come si scongiura il rischio di sprecare un'altra grande occasione?

«Bisogna cambiare le regole del gioco nei termini di una violenta sburocratizzazione dei processi. In Italia la tempistica per un'opera superiore a 10 milioni di euro, dal momento dell'approvazione del finanziamento alla posa della prima pietra, va dai 7 ai 10 anni, e in Campania le cose vanno anche un po' peggio. Sono tempistiche non accettabili. In più, il Pnrr dovrà essere rendicontato entro il 2026, col rischio che se non verranno realizzate le riforme collegate al Piano di ripresa e resilienza su giustizia, pubblica amministrazione e concorrenza e se non sarà rispettato il cronoprogramma di investimenti, non verranno attivate ulteriori tranche di finanziamento. Ci sono diversi nostri partner europei che non stanno aspettando altro. Trovo assurdo un vincolo così stringente sui tempi: questa tagliola è l'ennesima cattiveria nei confronti dell'Italia, che fa paura e suscita invidia proprio come capita alla ragazza più bella in una classe».

Cosa si aspetta invece il Sud in generale da questo imponente piano di investimenti?

«Per il Sud sarà l'ultima opportunità. Se il gap con la parte economicamente più sviluppata del Paese non si riuscirà a colmare con questa mole enorme di danaro, non avremo altre chance, almeno in termini di risorse finanziarie. Per avere una possibilità di successo, si deve prima di tutto riformare la macchina amministrativa, in particolare su due aspetti centrali. Da una parte c'è la scarsità di risorse: un Comune del Sud ha il 50 per cento di risorse ordinarie in meno rispetto a uno del Nord delle stesse dimensioni, in quanto i cittadini sono in media più poveri e di conseguenza il gettito Irpef per i Comuni meridionali è più basso. Dall'altra, "Quota 100" ha svuotato le nostre amministrazioni con esodi e pensionamenti. Questo processo, sommato all'invecchiamento medio dei dipendenti, è un freno enorme all'azione amministrativa. Dunque, serve una riforma efficace della pubblica amministrazione che consenta un ringiovanimento della forza lavoro. Dal canto loro, le pubbliche amministrazioni dovranno ragionare in un'ottica molto più vicina al mondo imprenditoriale. Se parliamo di edilizia, costruire non basta: serve un modello di gestione più efficiente e più sostenibile. Penso al ciclo delle acque e dei rifiuti e alle strade, che non vengono manutenute in modo strutturale».

Di cosa ha bisogno una città come Napoli che voglia candidarsi a diventare una moderna capitale del turismo e della cultura?

«Per diventare una capitale europea c'è bisogno non solo di asset materiali, ma anche dei cosiddetti elementi "intangibles", che determinano il fattore reputazionale. Questo vale soprattutto quando ci troviamo di fronte a investitori internazionali che rischiano i loro capitali. Il sindaco dovrà fare un'operazione verità sui conti del Comune, altrimenti si si va verso gioco al massacro che porterà alla sopravvivenza. Invece bisogna puntare su operazioni importanti di rigenerazione. In questo senso, Salerno è un esempio: basti contare il numero di gru che ci sono in questo momento a Salerno e quante a Napoli. La rigenerazione serve a restituire le aree negate della città: a Napoli, oltra all'area Est e a Bagnoli, anche il centro storico. Abbiamo bisogno di programmi urbanistici snelli e dinamici che guardino al futuro. Non possiamo più accettare che la pianificazione urbanistica sia bloccata da trent'anni, così la città muore».

Intanto, Napoli è in ritardo sulla presentazione dei progetti e la «palude burocratico-amministrativa-giudiziaria» della quale ha parlato il governatore De Luca certo non aiuta.

«Al Sud abbiamo due elementi principali di criticità: una mole spropositata di regole e poi i veti e i controveti posti da comitati e altri soggetti titolati a esprimersi per ogni progetto. Questo però è un problema da risolvere sul piano normativo. Si parla molto del modello Morandi: non so quello utilizzato per rifare il ponte di Genova sia il modello giusto, ma di sicuro ha consentito di portare a termine l'opera in tempi straordinari: con le procedure ordinarie, ne stavamo ancora parlando. Il Sud ha un altro tipo di problema collegato al discorso che facevo poc'anzi. Accanto al dato quantitativo, che deriva dal blocco delle assunzioni in nome del patto di stabilità, dai prepensionamenti e da "Quota 100", c'è quello qualitativo: scontiamo le assunzioni fatte negli anni '80, quando lavorare nelle pubbliche amministrazioni era un ripiego. Ripeto, dobbiamo agire tempestivamente, svecchiando la macchina amministrativa con innesti di giovani qualificati. Penso ad un intervento imponente, non certo le 1000 assunzioni del Pnrr Lab, che per gli 8mila Comuni italiani sono niente. Un piano straordinario di assunzioni fatto in modo serio, garantendo il merito, può determinare per il Mezzogiorno un rilancio o una condanna definitiva».

Da più parti, però, si levano perplessità sulla capacità di programmazione di Comuni e Regioni. Le condivide?

«Ahimè, le trovo fondatissime. Questa, appunto, è una delle mie più grandi preoccupazioni. Nonostante un significativo ringiovanimento della classe politica, con una relativa assunzione di responsabilità, al Sud ci si scontra con un apparato amministrativo che è dilaniato come se uscisse da una guerra. In queste condizioni, portare avanti l'attività ordinaria e la programmazione è molto difficile. Dunque, al Nord, dove l'apparato amministrativo è in grado di rispondere a queste esigenze, saranno molto più tempestivi. Non so quanto si potrà ovviare con le consulenze esterne e neanche l'Academy del Pnrr è sufficiente. Sarebbe stato molto più interessante adottare un modello come quello della Cassa del mezzogiorno, ma sono state fatte altre scelte».

Insomma, il Pnrr riuscirà ad affrontare le debolezze strutturali dell'economia, riducendo l'atavico divario infrastrutturale, occupazionale e dei servizi tra le due Italie in cui è spaccata l'Italia?

«Da giovane imprenditore non posso dire di non crederci, ma l'unica cosa che può salvare questo Paese, e in particolare il Sud,  sono il senso di responsabilità e di coesione uniti ad uno slancio di orgoglio. Abbiamo bisogno di una pacificazione tra gli apparati al livello nazionale, motivata dalla consapevolezza che questa è l'ultima chance e bisogna remare tutti nella stessa direzione».