Canta Napoli, sirena dal corpo sinuoso e dalla voce suadente, ma annaspa in un mare che non luccica. Canta Napoli, che «si nun canta, more», ma da un palco angusto che non rende giustizia al suo talento. Perché la musica è un vestito che a Partenope va stretto in quasi tutte le sue taglie: dalla extra-large, dove non ha altro che lo stadio e l'agorà, ai rifugi underground, i covi metropolitani delle band di quartiere che uno via l'altro hanno ammainato la loro bandiera di resistenza.
L'unico abito che è riuscita a cucirsi addosso con abilità sartoriali è estivo ed ha la misura media: l'Arena Flegrea, realizzata tra il 1938 e il 1940 dentro la Mostra d'Oltremare, porta la firma dell'architetto Giulio De Luca, che aveva appena ventisei anni quando la concepì, ispirandosi ai modelli dei teatri greci e romani. Con i suoi 6.000 posti, è la seconda arena per concerti in Italia dopo quella di Verona e una delle più grandi d'Europa. Qui Mario Floro Flores, imprenditore che sei anni fa ha deciso di investire sul teatro all'aperto di Fuorigrotta, rinnoverà per il sesto anno consecutivo una sfida che si chiama "Noisy Festival". Una rassegna che ha già annunciato per l'estate prossima ventura i concerti di 99 Posse, James Senese, Foja e Gabriele Esposito (17 giugno), OneRepublic (12 luglio), Mr Rain (13 luglio), Maluma, Chimbala, Fred De Palma, Baby K (16 luglio), Baustelle (19 luglio), Eduardo De Crescenzo (25 luglio), Carl Brave (27 luglio).
Napoli "Città della Musica" senza spazi adeguati alla musica: come si spiega questa contraddizione?
«Difficile rispondere. Rispetto ad altre città, Napoli ha spazi insufficienti, che vanno adeguati, ma è complicato. È vero, stadio e piazza Plebiscito sono le sole aree disponibili per i grandi concerti. Uno spazio del genere manca da sempre, e sarebbe utile a tutti: più musica c'è, più aumenta la voglia di musica».
Dovendo dividere tra imprenditori o istituzioni la mela delle responsabilità, la taglierebbe in due parti uguali o ritiene che qualcuno "meriti" una fetta più grande?
«Per quanto riguarda la nostra esperienza con l'Arena Flegrea, alcuni anni fa ci è arrivata una proposta da parte delle istituzioni. A fine 2015 con grande determinazione e coraggio ci siamo proposti per gestirla. L'esercizio inizialmente è stato particolarmente impegnativo. In particolare, è stato difficile conquistare una credibilità sul territorio e nei confronti degli interlocutori che gestiscono gli artisti, con gli sponsor, cercando di non deludere mai le loro aspettative. Nel tempo, però, pian piano costruisci qualcosa che viene riconosciuto dal pubblico».
Siete partiti subito con nomi altisonanti.
«Nella nostra prima estate, quella del 2016, abbiamo ospitato nomi del calibro di Robert Plant, Chick Corea, Diana Krall, i Massive Attack. Negli anni seguenti sono seguiti Pat Metheny, Sting, Noel Gallagher, i Kasabian, il dj Paul Kalkbrenner. L'obiettivo è quello di rendere l'Arena una struttura molto trasversale ai generi, aperta a proposte anche molto diverse tra loro».
Ci vuole un po' di sana incoscienza per investire sulla musica dal vivo a Napoli?
«No, Napoli è una città che se proponi cose di qualità, se c'è un progetto, risponde bene. Credo, tuttavia, che sia particolarmente importante avere un'idea di business ben definita e una strategia a lungo termine. È un'industria a tutti gli effetti, e come tale bisogna trattarla, programmando con razionalità e non agendo d'istinto».
A pochi passi da voi giace lo scheletro del Mario Argento. Perché nessun imprenditore campano ha deciso di ricostruire sulle ceneri del palasport sventrato?
«Non saprei. Sicuramente quella è una grande opportunità che può essere appetibile per qualcuno che abbia una forza economica e una visione importanti. È una sfida che si può vincere, ma solo in collaborazione con le istituzioni».
Siete mai stati interpellati su un progetto del genere?
«No, mai».
L'Ufficio Musica del Comune apre a qualche speranza per lo sviluppo del settore in città?
«C'è un'interlocuzione, del resto l'Arena è un bene proprietario della Mostra d'Oltremare, che è partecipata del Comune. Ci sono delle idee che stiamo condividendo, si spera ci possa essere una collaborazione pubblico-privato che porti alla definizione di un palinsesto ulteriore rispetto a quello che stiamo già realizzando in autonomia. Pare che ci siano delle ottime premesse per questo».
Qual è il salto di qualità che può portare a Napoli altri grandi concerti come quello dei Coldplay e quello dello stesso Sting?
«Noi da sei anni abbiamo messo su un festival, il "Noisy Naples", che quest'anno all'Arena Flegrea conta già dieci artisti di caratura nazionale e internazionale. Questo crea una fanbase che segue il festival. Un pubblico che viene anche da fuori Campania e non si limita al concerto ma cerca di vivere un'esperienza più ampia. Siamo riusciti a creare uno spazio dove la gente viene con piacere a trascorrere del tempo, è una grande soddisfazione».
Per dimensioni, l'Arena Flegrea è seconda in Italia solo all'Arena di Verona.
«Sì, è uno spazio funzionale anche per le produzioni, questo è un incentivo. Ci sono tanti addetti ai lavori di livello nazionale che cominciano a conoscerci e ci scelgono per i concerti estivi. Ma non ci fermiamo: ora stiamo realizzando una grande copertura del palco con un boccascena grandissimo per rispondere alle esigenze delle produzioni più imponenti. Vogliamo creare un luogo sempre più accogliente dove la gente torni con piacere. Abbiamo fatto grandi sacrifici, ma oggi raccogliamo i risultati».
Negli anni, a Napoli hanno chiuso anche molti club nei quali si poteva ascoltare musica dal vivo di vario genere. È un segnale preoccupante?
«Quella è una tipologia di lavoro molto complicato: la forbice è molto stretta, se non si fanno bene i conti, si può rischiare. Se si fa un errore, è difficile recuperare. Sono attività che vanno fatte a lungo termine, con cura e in modo graduale».
© Davide Cerbone