Flussi incerti

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Gli attori sono tre ma non parlano tra loro. La società, le istituzioni e l’architettura. Il tema del confronto è lo spazio fisico. La società ha bisogno di uno spazio fisico [pubblico] organizzato ma non conosce la grammatica per formulare la domanda. Le istituzioni non hanno in alcuna considerazione l’architettura se non per attribuire alla disciplina le responsabilità del degrado e delle conseguenti drammatiche patologie sociali, vedi Vele di Scampia. L’architettura [e l’urbanistica, ma le due attività sono inscindibili] nel migliore dei casi ha la capacità di individuare il problema ma non trova interlocutori.

Nel frattempo i flussi delle occupazioni degli spazi pubblici seguono dinamiche che si evolvono e restano sconosciute. Ho visto folle di adolescenti radunarsi su un lembo di marciapiede davanti a una sala giochi e lasciare deserta una piazza con fontana al centro o uno slargo con bar o un giardinetto con le panchine. E poi dopo qualche mese, senza una ragione apparente, migrare in altri lembi urbani di cui soltanto il flusso incerto dello spostamento individua un appeal.

Mi chiedo: Perché avviene questo? Prima domanda.

Per i giovani c’è la movida. Il fenomeno è diverso e tutto è documentato per la presenza diffusa delle telecamere. Un pezzo di città, magari un’unica strada o una piazza, ma dotata di attrattori quali bar paninoteche vinerie, viene completamente invaso ed è come un fiume in piena che trasporta alcol e droga. Ci scappano le risse, arrivano le volanti e poi vanno via e si ricomincia. E i locali tutti concentrati nello stesso perimetro riprendono a sparare musica a tutto volume.

Può incidere sui comportamenti il disegno degli spazi pubblici? Seconda domanda.

Nelle città smart ho visto piazzette con tavolini e panchine dove uomini in giacca e cravatta consumano un caffè mentre lavorano al computer. Ogni frammento di tempo va ottimizzato e ogni luogo può andare bene. Anzi, l’uso ne individua le potenzialità.

C’è bisogno di un disegno di spazio pubblico adeguato? Terza domanda

La risposta è unica. È una questione di flussi incerti da decifrare. O meglio, da trasformare da flussi a vettori di un linguaggio molteplice. Praticamente l’attore si è trasformato in autore. Vale a dire crea il proprio spazio e ciò impone di assumere l’incertezza come valore. I nodi si spostano nella trama urbana, ma questo non vuol dire che debba prevalere il caos. La città chiede alla disciplina [e non solo] di mettere a punto strumenti e strategie per governare i processi. Visioni multiple, in pratica.

Mi viene in mente uno scienziato, James Jeans, che racconta [vado a memoria] come il suo percorso di ricerca scientifica non avesse nulla di lineare, bensì seguisse un flusso istintivo come la navigazione su un fiume avendo una meta certo, ma essendo irresistibilmente attratto dagli affluenti e imboccandoli senza troppo pensarci su, fino a trovare proprio lì gli unici imprevedibili sprazzi di risposta.