Fucito: «Acqua e aria pulite, la rinascita inizia da qui»

Il presidente della VI Municipalità: «Solo se si mettono al centro gli abitanti le periferie possono trovare un vero riscatto»

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Gli abitanti del quartiere relegati al ruolo di comprimari. Figure di secondo piano in un film che in ogni caso ha come protagonista il centro. Così Sandro Fucito, eletto presidente della VI Municipalità di Napoli poco più di un anno fa sotto le insegne di Sinistra italiana nella coalizione a sostegno del sindaco Manfredi, fotografa il cortocircuito che da sempre condanna l'area orientale ad un ruolo subalterno.

Già assessore al Patrimonio del Comune di Napoli, presidente del Consiglio comunale e coordinatore della Conferenza nazionale dei Consigli comunali in seno all'Anci, Fucito descrive la zona Est come un laboratorio ai margini della città che conta, buono per gli esperimenti di urbanisti con troppa fantasia, nel quale gli indigeni diventano - loro malgrado - le cavie. In poche parole: una periferia piegata alle esigenze del centro che da troppo tempo attende un risarcimento. «Vedo un desiderio di trovare una variante alla saturazione di spazi e di idee che affligge i quartieri centrali», spiega, invocando uno sforzo di coraggio e originalità che abdichi agli esercizi di stile per capovolgere il paradigma.

Presidente Fucito, prima di guidare la sesta Municipalità lei è stato assessore al Patrimonio con de Magistris e presidente del Consiglio comunale. Incrociando queste esperienze con quella di quartiere, che cosa farebbe cambiare passo al destino dell'area Est?

«Avevo espresso un interesse a dedicarmi al territorio, e qui c'è tanto da fare. L'elemento fondamentale per una svolta secondo me sarebbero le bonifiche, con la conseguente certezza della salubrità dell'area e del mare. Sarebbe importante non solo per la gente, ma anche per gli investitori. Invece vedo una generazione di urbanisti al lavoro che rischia di ripetere i disastri degli anni '70 e '80, con un modello di vivibilità da esportazione, per cui ci ritroviamo passerelle volanti tra i palazzi, ponticelli che romanticamente avrebbero dovuto portare ai giardini e alle scuole all'insaputa del padreterno, secondo una visione danese molto astratta. Questo ci costringe a combattere con i costi manutentivi e con il rischio che qualcuno sotto questi ponticelli vecchi di 40 anni possa rimetterci la vita. Opere come queste si trovano in tutta l'edilizia popolare della zona: a via Scarpetta, al Lotto 10, a Taverna del Ferro. Sono pericolosissimi. E le risorse per la loro manutenzione non sono state previste».

In effetti, Napoli Est e Napoli Ovest condividono un destino incompiuto e un rapporto col mare controverso. Nella zona orientale, in particolare, è quasi come se il mare non ci fosse. Dunque, recuperarlo non è un'utopia?

«Niente affatto, nessuna utopia. Il mare qui non è più un'appendice del porto, ma qualcosa di diverso rispetto al mare della città. Si è discusso giustamente di recuperare lo specchio d'acqua di Bagnoli, dove c'era un'industria siderurgica pesante e invasiva, e si è fatto a Portici. Non si capisce perchè la stessa cosa non si possa realizzare qui, dove il tema sono i collettori fognari e l'esito di giacimenti petroliferi le cui concessioni sono in scadenza. Il problema è che noto su Napoli Est una smania progettuale come luogo da raggiungere a piacimento di chi ha l'esigenza di progettare cose originali senza pensare alle 122mila persone che abitano qui. Ed ho l'impressione che l'area Est sia vista come una frontiera per supplire alla mancanza di volumi in città. Allora si concepiscono contenitori come l'Ospedale del mare, il nuovo Santobono, l'università e ci si sforza di capire come li si possa raggiungere. Si definisce questo innovazione e mobilità sostenibile, ma sempre nell'ottica di chi deve raggiungere il territorio e non di chi lo deve vivere. Intanto, nel lungomare di San Giovanni a Teduccio, nonostante le prescrizioni dell'Autorità portuale, nei fine settimana estivi si sono bagnate migliaia di persone. Quello che vedo nel dibattito pubblico è lontano da tutto questo».

Per restituire decoro e speranza all'area orientale, riducendo le distanze con il centro in termini logistici e di vivibilità, servono dignità abitativa, servizi e trasporto pubblico degni di una dimensione civile. Vede dei passi avanti in questo senso?

«C'è una logica monovettoriale in cui l'area orientale è immaginata come una funzione dell'espansione del centro e non come un territorio abitato da un ottavo della popolazione cittadina che tra l'altro ne rappresenta la porzione più giovane. Ed è una logica permanente, difficile da cambiare. Del resto, i consiglieri di questa amministrazione hanno parlato di "quartiere di margine", il che inquadra chiaramente un approccio. Attenzione: noi siamo pronti a prenderci tutto quanto di buono deriverà da questa impostazione, ma per migliorare la qualità della vita dei cittadini dell'area Est si dovrebbe pensare a come questi abitanti possono raggiungere il centro, non il contrario. Finché non si capovolgerà l'impostazione, questo non avverrà».

Ha fiducia nel fatto che la svolta tanto attesa possa arrivare con il progetto Porta Est, approvato di recente in Consiglio?

«Mi sembra che manchi il punto di vista delle persone del quartiere, che hanno bisogno di sapere come spostarsi in un'area che è un quinto della città e hanno a disposizione mezzi come la Circumvesuviana, che chiude alle 20.15, e autobus che se va bene passano una volta ogni 30 minuti».

L'amministrazione in carica dovrebbe fare di più?

«Sul piano progettuale, la giunta Manfredi si sta muovendo bene. Il progetto Napoli Porta Est prevede mezzi di collegamento, piste ciclabili, colonnine di ricarica per le auto elettriche, interventi di riqualificazione di interi complessi con i soldi del Pnrr a Taverna del Ferro e a Ponticelli. Inoltre, sono ripresi i piani delle bonifiche e si è data attuazione alla riconversione dei piani di riqualificazione urbanistica favorendo nuove funzioni produttive, con un rilancio dell'agricoltura di città. A Ponticelli molti suoli erano destinati alla realizzazione di residenze e centri commerciali, l'assessore Lieto ha compreso che c'era una saturazione e ha rivisto alcune scelte. Insomma, c'è una visione. Quello che trovo deficitario, però, è l'oggi. C'è una scarsa tensione sui servizi che sono necessari nell'immediato. La Circumvesuviana, per numero di treni è del tutto carente, così come i mezzi di trasporto su gomma. E c'è molto da fare anche sui piani di investimento per la manutenzione delle strade e dello spazio urbano, per la segnaletica. Proprio qualche giorno fa abbiamo discusso del piano per la differenziata, che attualmente copre solo alcune piccole zone e che ad aprile dovrebbe coinvolgere il cento per cento della cittadinanza. Ci vorrebbe il coraggio per promuovere azioni che noi qui stiamo cercando di realizzare».

Quali?

«Serve una visione fatta su misura per la periferia, diversa rispetto a quella applicata alle aree centrali. Pensiamo ai parchi comunali: il regolamento comunale dice che non possono ospitare buvette e attività di operatori privati. Ora, se il parco in questione è la Villa Comunale o la Floridiana e la buvette privata va a competere con dieci bar che sono fuori la villa, lo capisco. Ma inibire la possibilità che nel deserto di una periferia qualcuno possa aprire un bar, mettere due giostrine o fare spettacoli e proiettare film è una follia. Ed è egualmente sbagliato tenere dei locali comunali chiusi e abbandonati perché non si ha la forza amministrativa per darli anche a prezzi più contenuti, condizionati dal timore di incorrere nell'accusa di danno erariale. Forzare certi vincoli illogici servirebbe ad incentivare un sistema di microimprese. Lo dice uno che è stato colpito dalla Corte dei conti perché considerato colpevole di non aver revocato affidamenti fatti dieci anni prima. Questo è un Paese in cui, grazie alla Corte dei conti, nessuno si assume una responsabilità. Di conseguenza, si arriva alla paralisi».

In quali zone si trovano i locali comunali inutilizzati?

«In via Comunale Ottaviano, dove si registra una preoccupante presenza criminale, ci sono ad esempio locali commerciali abbandonati. Lo stesso vale per il centro storico di Ponticelli, dove i canoni sono troppo alti e i bandi sono andati deserti. Non si può pensare di chiedere mille euro al mese per un locale fronte strada a Ponticelli. Inoltre, occorrerebbe lavorare ai piani di riconversione in ottica sociale delle scuole sottoutilizzale per mantenere i presidi scolastici. In questa municipalità ci sono moltissimi plessi scolastici, forse troppi: solo quelli comunali sono 60. Eppure per la manutenzione delle scuole abbiamo gli stessi fondi delle altre municipalità. Stesso discorso vale per le aree verdi, pur avendo qui il 23 per cento del verde cittadino. Al di là di questo, però, bisogna trovare delle soluzioni affinché le pertinenze scolastiche - ex case dei custodi e palestre abbandonate e spazi esterni – vengano valorizzate con funzioni pubbliche, sociali, cooperativistiche. Penso ad attività culturali come cinema e teatro, spazi dedicati alla street art e a filiere artistiche, co-working. Questa esuberanza di spazi rispetto alle necessità pone il problema di come manutenerli».

Pensare all'area Est come parte integrante della città è la via per compiere il salto di qualità verso una compiuta idea metropolitana?

«Ripeto: a me sembra che la periferia venga vista come il luogo nel quale trovare nuovo spazio, data la saturazione delle aree urbane. Insomma, i quartieri marginali vengono utilizzati per risolvere i problemi del centro. Invece bisognerebbe considerare un territorio che al suo interno ha tre ex comuni, mare, elementi importanti sul piano della storia e dell'identità come le Ville vesuviane e il centro storico di Barra, nelle cui chiese si trovano opere di pregio e antiche catacombe (la chiesa di Santa Maria alla Sanità riposano le spoglie del pittore Francesco Solimena, ndr). E abbiamo recuperato un gioiello come Villa Letizia e il suo parco, dove c'era la sede storica del Comune di Barra: i lavori sono finiti, speriamo di riaprirla presto. Ma l'intervento più prezioso lo ha compiuto la Regione, con un lavoro che ha consentito la riqualificazione di tre parchi: Villa Salvetti, il parco di via delle Repubbliche Marinare, dove sono state fatte esperienze di hip hop che ripeteremo il 26 e il 27 dicembre, e il Parco De Simone, a Ponticelli. A questi si aggiungono gli interventi con i fondi del Pnrr a Ponticelli e a via Prota Giurleo, dove si recuperano aree sportive all'aperto completate ahimè nel 1991 e poi vandalizzate e abbandonate. Tra gli impianti, invece, c'è una piscina che la Canottieri, cui fu affidata anni fa, non è riuscita a manutenere: anche quella va ristrutturata».

Si è parlato di una dislocazione degli spazi per la socialità e il tempo libero al Centro direzionale: è un'ipotesi praticabile?

«Se si immagina la città come una folla che deve muoversi, è un progetto difficile da realizzare. Mi pare difficile che all'improvviso si possa diffondere tra i ragazzi il brivido del cornetto notturno a viale Regina Margherita. Serve un progetto guidato da una regia iniziale che punti a promuovere iniziative culturali, musicali, sportive, secondo una programmazione e una visione complessiva che sia supportata da una logistica sul come raggiungere i luoghi: mezzi di trasporto affidabili, parcheggi, aree di interscambio. Noi intanto ci abbiamo provato con la street art. Il murale voluto da Cesare Cremonini è un'opera importante per Ponticelli, ma sarebbe bello se le iniziative venissero ideate qui. Intanto, proviamo a valorizzare gli spazi che abbiamo: abbiamo cercato di accedere a Pietrarsa, uno spazio pubblico di grande pregio, ma gestito da una fondazione di diritto privato, e al Palasport di Ponticelli per organizzare degli eventi che coinvolgano il quartiere, così come facciamo di tutto per sostenere le iniziative di teatri come il Nest. Per Natale, con grandi difficoltà e con i pochi soldi a disposizione, abbiamo organizzato un concerto di Eugenio Bennato, che si esibirà il 27 dicembre al teatro Pierrot. Bisogna partire da un'idea chiara anche per riempire i vialoni tetri del Centro direzionale. Servono buone idee, non basta aprire delle pizzerie».