I relitti dell'ex Ilva

Recentemente si è ripreso a discutere della scandalosa lentezza dei cantieri in città. Ci si è anche tornati a domandare che cosa ne sarà delle aree industriali dismesse e quante risorse si pensa di destinare alle bonifiche nel Recovery Plan. E pare anche che le risorse siano pari a zero.

La questione delle bonifiche è solo una parte dei problemi dello stallo in cui versa ormai da anni l'area dismessa di Bagnoli. Quella che sembrava una risorsa straordinaria, un'opportunità invidiata da altre città, si è poi rivelata, anno dopo anno, un ennesimo fallimento per la classe politica e per il ceto dirigente della città. Aggiungendosi ai cantieri ormai eterni che costellano la città e mettono in mostra l'incapacità progettuale e l'inerzia litigiosa della sua classe politica. E mandando all'inferno la riqualificazione dell'area che, con la sua cornice paesistica e naturalistica, potrebbe anche aggiungere una forte attrattiva turistica alle altre della città.

Se si parla sempre meno dell'avvenire di Bagnoli, ancora meno vengono ricordati gli alti scheletri di ferro e di cemento armato che emergono  da anni nella piana di Coroglio e stanno lì a ricordare di un sogno, quello della storia della fabbrica come motrice della redenzione di Bagnoli con la sua centenaria storia industriale. Si tratta dei relitti arrugginiti di un coraggioso esperimento che prese corpo durante le fasi della rottamazione e della vendita di ciò che restava della fabbrica. Subito dopo la dismissione dell'impianto dell'Ilva, mentre nasceva l'idea di convertire l'area in un grande parco urbano, tra il 1998 ed il 2002, una ricerca sulle cartografie, sui grafici originali degli impianti ed infine sul campo permise di selezionare un gruppo di edifici-simbolo, legati tra loro dal filo conduttore della storia del processo produttivo che ha guidato la vita della fabbrica per circa un secolo, dall'arrivo delle materie prime fino alla produzione dell'acciaio. Seguì l'isolamento ed il salvataggio degli attuali sedici edifici, tra cui l'altoforno e la grande acciaieria rossa che sostituì nel 1962 la storica acciaieria Thomas. 

Ad essi si è aggiunto il pontile nord, cresciuto nel tempo fino a circa un chilometro. Dopo un restauro parziale a cura del Comune di Napoli, nel 2005 è stato aperto al pubblico e destinato a passeggiata pedonale, conservando alcuni documenti della sua vita passata. Almeno di esso il pubblico ha potuto riprendere possesso e ne ha ricavato uno spazio di eccezionale valore paesistico. Invece gli edifici, conservati come memoria del ruolo dell'industria siderurgica a Napoli nell'intero XX secolo e destinati nel programma originario, collegati tra loro in un vero e proprio "parco a tema", a documentare, con il loro restauro e la loro rifunzionalizzazione, le fasi del ciclo di produzione dell'acciaio, sono stati abbandonati al degrado e ad un lento e drammatico disfacimento.

E' mancato un piano generale per la rifunzionalizzazione degli edifici a giustificare la loro permanenza nel futuro parco urbano; infatti i progetti concepiti poi per alcuni di essi sono nati da scelte confuse e e disorganiche, di cui è difficile intravedere i nessi: l'Officina meccanica, come sede di studios cinematografici e la Centrale pompe del Treno nastri, come sede di un acquario per le tartarughe marine, per molti anni ospitate nell'area. Per essi la sorte non è stata propizia, come è noto. E l'abbandono che pervade l'area ed il silenzio che su essa è piombato ne fanno i testimoni dell'assenza di un qualunque disegno. Dopo quasi trenta anni dalla loro chiusura, gli scheletri ed i contenitori vuoti attendono decisioni. Nel frattempo vengono giù a pezzi, il cemento si disgrega, la ruggine scolora le strutture una volta robuste.

Sono essi, come fu pensato allora, delle risorse di cui reinventare un uso innovativo e, al tempo stesso, capace di preservare il ricordo del mito dell'industria? Hanno ancora un valore come risorse ed un significato nella storia del quartiere di Bagnoli e della città? Oppure abbiamo dimenticato tutto?