Il circolo vizioso dell’economia regionale

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Quale futuro per noi è la preoccupante domanda che si pone nel recente Focus di Nagorà Gabriella Reale alla luce della strategia economica del nuovo Governo che a tutti gli osservatori appare di tipo non espansiva quanto piuttosto conservativa e prudente il che si tradurrà per molti aspetti nel rafforzamento dello storico dualismo che contrappone le regioni del Centro Nord all’intero Mezzogiorno.

La risposta potrebbe essere sintetizzata in una sola espressione economico-territoriale: nel Sud ed in particolare in Campania lo Stato non spende ed i privati non investono.

Con riferimento al ruolo progettuale dello Stato gli ultimi dati dell’Agenzia per la Coesione relativi alla “spesa allargata” appaiono estremamente emblematici: la Campania occupa l’ultimo posto nella graduatoria con una spesa pro-capite di circa 12.000 Euro, pari alla metà della Val d’Aosta e distante anche dalla media nazionale che si attesta a 15.700. Non solo ma in Campania la spesa si concentra soprattutto nei settori della previdenza, delle politiche sociali, dell’istruzione e della sanità il che resta meritorio ma con buona pace per gli investimenti diretti al mondo della produzione industriale e dei servizi innovativi.

Altrettanto delicata risulta la situazione relativa agli investimenti privati che dovrebbero concorrere in maniera concreta alla produzione di valore: ne consegue, come segnala lo Svimez nel suo ultimo rapporto, che il PIL del Mezzogiorno nel 2023 crescerà dell’ 0,4% il che è dovuto in primis al generale rallentamento della ripresa post Covid al quale vanno aggiunte le nuove emergenze sociali e localizzative che si traducono in un deterrente per nuovi investimenti soprattutto nelle maggiori aree produttive del Mezzogiorno. Investire nel manifatturiero nell’ area metropolitana di Napoli costa in media il 20% in più rispetto alle aree produttive delle regioni settentrionali per una serie di diseconomie ambientali che vanno dalla presenza della criminalità organizzata, alla dipendenza dall’esterno per i servizi alla produzione, all’inefficienza della pubblica amministrazione, alle difficoltà che si riscontrano nel mercato del lavoro specializzato. Di conseguenza il capitale d’investimento volge lo sguardo verso altre localizzazioni mentre i viaggi della speranza dei giovani diplomati e laureati in cerca di lavoro arricchiscono ormai la cronaca quotidiana.

Siamo in sostanza di fronte ad un paradossale circolo vizioso in cui, da una parte, lo Stato non spende o spende male i fondi a disposizione per creare le necessarie infrastrutture materiali ed immateriali richieste dal nuovo modo di produrre e, dall’altra, il venture capital si arrende di fronte al grande gap economico causato dall’inefficienza della pubblica amministrazione. 

Come interrompere questo cortocircuito?  La storia dell’ultimo trentennio insegna che la “politica industriale” a scala nazionale, il più delle volte relegata nei convegni accademici, dovrebbe essere sostituita nelle regioni meridionali da una “politica per le imprese” il che significa affrontare il tema della ripresa secondo un metodo “induttivo” basato su una sostanziale e proficua collaborazione sul piano progettuale ed operativo tra i responsabili delle risorse pubbliche e le organizzazioni degli imprenditori, con particolare attenzione per gli investitori che in modo diretto e spontaneo già hanno avviato  iniziative a scala locale.

Come è ben noto il tempo in economia è tiranno e se non si agisce tempestivamente in questa fase in cui esistono tutti i presupposti per avviare a risoluzione lo storico dualismo Nord Sud il futuro delle nostre regioni non sarà certo migliore. Con buona pace per le risorse pubbliche non spese, per nuovi investimenti dirottati altrove e per la perdita di capitale umano.