Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

Il gioco dello spauracchio

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Se è tornato alla presidenza malgrado i trascorsi non proprio commendevoli (inefficienza, corruzione, carcere), Lula da Silva deve dire grazie a una sola persona. A Jair Bolsonaro. I brasiliani hanno votato contro Bolsonaro, più che per Lula. Ma anche Biden ebbe il suo jolly nella corsa alla Casa Bianca del 2021: “The Donald” ne aveva fatte troppe per non provocare un moto di rigetto nell’opinione pubblica (ragion per cui il vecchio Joe ha oggi una sola speranza di essere rieletto: che Trump si ripresenti ai nastri di partenza). Del resto, c’è una ragione su tutte che spiega il successo di Macron nel 2017 e nel 2022: l’esistenza di una eterogenea maggioranza “repubblicana” decisa a sbarrare la strada a Marine Le Pen.

Naturalmente, leadership fondate sulla delegittimazione dell’avversario appaiono come giganti dai piedi di argilla. Hanno per definizione un rapporto con i propri elettori fragile, poco motivato. Si pensi all’Italia.

In Italia la sinistra Pds-Ds-Pd ha costruito per decenni le sue campagne elettorali demonizzando Berlusconi. Talvolta ha vinto, talvolta ha perso. Ma una cosa è certa: essere diventata solo e soltanto il partito dell’antiberlusconismo ne ha svuotato l’identità, le ha tolto radici sociali e culturali, l’ha ridotta a un ramo secco. In fondo, non si può chiedere sempre agli elettori di “votare contro”.

E tuttavia, testardamente, nelle politiche di settembre il Pd ha voluto battere ancora una volta sul tasto del nemico da battere: una Meloni descritta come postfascista, reazionaria, antiabortista, ecc. Ma la cosa, notoriamente, è andata male. Perchè Giorgia è meno pericolosa di Donald, di Jair, di Marine? Perché la sinistra non è più credibile nemmeno nel vecchio “gioco dello spauracchio”? Perché fare politica è un’altra cosa?