Il nostro futuro tra sentimenti e razionalità

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L’estate 2022 probabilmente sarà ricordata come quella di un clima anomalo, del protrarsi di una guerra armata nel cuore dell’Europa e di una economica a scala globale, di una pandemia sempre in agguato e di tanti episodi di cronaca nera sintomi di un diffuso malessere sociale, ai quali si è aggiunta nel nostro Paese una crisi di governo nel segno di una profonda irresponsabilità della classe politica.

Questa drammatica situazione ha generato un diffuso sentimento di preoccupazione e di incertezza del futuro perché quando la “rivincita” dell’ambiente e la crisi economica diverranno certezze allora sì che saranno guai, soprattutto nel Mezzogiorno dove la tenuta sociale appare molto più fragile del resto del Paese.

A questo profondo smottamento emotivo, ben evidente anche nei comportamenti dei tanti turisti che hanno invaso le nostre costiere e le nostre isole nel segno “del doman non v’è certezza”, si è sovrapposta una campagna elettorale del tutto atipica, in cui la contrapposizione tra i diversi schieramenti in campo sta avvenendo in sostanza sulla delegittimazione dell’avversario piuttosto che sul confronto di programmi. Dalla sua lettura emerge una caratteristica costante delle politiche economiche nel nostro Paese, costituita da un enfasi sugli aspetti redistributivi che favoriscono  sempre singole “corporazioni” o specifici territori (gli esempi dalla flat tax e del reddito di cittadinanza non hanno bisogno di commento). A prescindere da un giudizio di valore sulle motivazioni che vanno dalla ricerca del consenso elettorale ad un aiuto alle classi sociali svantaggiate, resta il fatto che una politica redistributiva non contribuisce alla creazione di nuova ricchezza, la sola che in questa fase storica potrebbe fungere da scoglio contro il quale far infrangere la prevedibile e prossima tempesta economica e sociale.

Il passaggio da un approccio emotivo ad uno razionale è dunque obbligatorio poiché, come insegna la storia economica, è proprio nei periodi di crisi che si costruisce il futuro; il che chiama in causa tutta la classe dirigente, soprattutto quella parte che decide e produce nell’interesse della collettività. Il paradosso sta nel fatto nel PNRR esistono notevoli risorse disponibili per rimettere in moto il Paese ma la crisi politica unitamente a quella dell’economia globale rischia di ridimensionarne l’impatto. Un esempio per tutti: in questi mesi stiamo esportando una parte rilevante del nostro potere d’acquisto piuttosto che beni materiali per far fronte alla bolletta energetica pari a circa 3 punti percentuali del nostro PIL, il che annulla l’equivalente avanzo nei conti con l’estero degli ultimi anni. In percentuale il Mezzogiorno e le nostre aree produttive soffrono il maggiore danno in termini di reddito, investimenti e posti di lavoro. Non solo ma i costi di produzione delle opere previste dal PNRR stanno crescendo in maniera esponenziale, il che impone o la ricerca di nuove fonti di finanziamento o la responsabilità di individuare le priorità da cantierare prima che sia troppo tardi soprattutto nel campo delle infrastrutture e della trasformazione urbana sostenibile.

Con questa realtà dovranno confrontarsi non solo il nuovo esecutivo che uscirà dalle urne dopo il 25 settembre ma anche i responsabili dello sviluppo regionale ed urbano in un quadro di collaborazione istituzionale con il mondo della produzione e dei servizi che prenda atto in maniera prioritaria dei due grandi problemi che affliggono l’intero Paese ed in particolare il Mezzogiorno. Il primo riguarda la ricostruzione del capitale sociale (con i necessari investimenti nel  sistema sanitario e nell’intera filiera della formazione dei giovani) ed il secondo l’ammodernamento del  sistema delle infrastrutture materiali ed immateriali che rappresentano la pre-condizione per un nuovo modello di sviluppo economico. Al momento siamo di fronte ad un paradosso: esistono ingenti risorse disponibili ma scarseggia una visione pragmatica delle soluzioni in grado di frenare il declino economico e la marginalità sociale nei nostri territorio.  

La lezione della storia e l’emergenza in atto saranno in grado di riportare alla razionalità aspettative, interessi e comportamenti dell’intera classe dirigente nazionale e locale?