Il ruolo dei “corpi intermedi” in una società che cambia

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La storia insegna che quando la società è costretta a confrontarsi con una crisi dalle dimensioni come quella attuale - che ha riproposto all’attenzione pubblica termini come epidemia e guerra, che sembravano consegnati definitivamente alla storia e senza avere chiare metodologie di contrasto - , emergono sentimenti irrazionali quali, la paura, il nemico ed il diverso. Ne consegue una rapida ed imprevedibile trasformazione della comunità in una sommatoria di individui, ciascuno con le proprie ansie, i propri affanni, le proprie pene. Tale slabbramento della socialità ha determinato negli individui una spinta compulsiva ad esistere, espressione che bene definisce la necessità di mostrarsi, di sentirsi realizzati esclusivamente nell’immagine che di noi restituisce la comunità. E’ ben noto che esistiamo negli altri, ma ormai l’altro è retrocesso semplicemente a strumento attraverso il quale celebrare se stessi, a premiare la propria “superiorità” culturale, la propria autostima. Tutto ciò è innato da sempre nell’uomo, ma l’attuale civiltà della luce” offre a tutti la possibilità di raggiungere rapidamente gli altri, il che ha amplificato a dismisura la sfida del singolo e la sua presunta centralità a danno della forza della socialità che ha a lungo contraddistinto la cultura ed i comportamenti della nostra civiltà. Trattiamo le nostre vite come prodotti da piazzare sul mercato dell’ambizione, del successo e della vanità, a prescindere dal dialogo e dal confronto con l’altro.

Scendere da questa giostra impazzita, oscurare il luna park esistenziale che ci propongono le tante serie televisive, ritrovare quel senso di comunità che è stato l’orgoglio di tante generazioni che ci hanno preceduto, è un problema che chiama in causa, da una parte, ciascuno di noi e, dall’altra, le istituzioni e le organizzazioni portatrici di valori ed interessi condivisi. Innanzitutto è urgente prendere coscienza che ogni persona nella propria individualità partecipa di fatto alla costruzione del futuro della comunità della quale fa parte. Altrettanto delicato e strategico è il ruolo delle istituzioni, che non sempre operano in maniera adeguata per salvaguardare il valore della comunità intesa nella sua complessa espressione etica, sociale ed economica: le nuove povertà e le nuove forme di esclusione sociale e marginalizzazione economica appaiono troppo spesso come capi d’accusa per i responsabili della “cosa pubblica”.

In assenza di ponti solidi, fatti di capacità di ascolto e di un’etica condivisa, le pene soggettive non riescono a cementarsi in cause comuni ed i colori della socialità si sbiadiscono in mille sfumature che finiscono per concretizzarsi in orge compassionevoli, in concomitanza con grandi catastrofi, o piuttosto in esplosioni gioiose, in casi di eventi sportivi o artistici.

Nel prendere atto di questa oggettiva sconfitta collettiva non ci resta che appigliarci a quel mondo dei “corpi intermedi”, ovvero a quelle formazioni sociali che rappresentano e si autorappresentano in particolari segmenti della società civile, ponendosi in una posizione mediana tra il pubblico ed il privato con l’obiettivo di trasmettere alle istituzioni su base volontaristica le preoccupazioni collettive.