Il Terzo Settore ed il PNRR: luci ed ombre per ricostruire il valore strategico della socialità

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Simona De Rosa, Ph.D, Ricercatrice e project manager

“Ne usciremo migliori”, questa è un’affermazione che ci ha accompagnato nel corso della pandemia di Covid-19. Ma adesso che stiamo tornando ad una semi normalità, ci guardiamo indietro e ci chiediamo: come è possibile che in solo due anni siano state messe in discussione abitudini radicate per adattarsi a nuove pratiche? E’ successo che ci siamo riscoperti duttili e resilienti e ci siamo adattati ai cambiamenti che la situazione richiedeva. Al contempo, la pandemia ci ha messo di fronte ai nostri limiti, problemi sociali ed individuali emersi in maniera prepotente.

Il vaso di pandora si è aperto rivelando la sconcertante mancanza di competenze digitali, problema trasversale che riguarda la popolazione italiana, e la carenza di dotazione di dispositivi tecnologici, sia nelle scuole che nelle case. La didattica a distanza (DAD) ha fatto scattare un campanello d’allarme su quanto un investimento sistemico circa l’acquisizione delle competenze digitali sia un elemento da affrontare con urgenza.

Abbiamo toccato con mano la massiva esposizione ad una informazione distorta e non veritiera, che ha come fine ultimo quello di trarre in inganno il lettore ed arrecare danni. Mai come nel corso della pandemia, la popolazione si è trovata, infatti, ad interrogarsi sulla veridicità delle notizie ponendosi domande che, spesso creano solo allarmismo. Ancora, l’assenza di attività scolastiche e post-scolastiche ha sconvolto la routine di giovani, forzati a trascorrere molto tempo in casa, costretti da quarantena e distanziamento sociale. L’indagine ISTAT sugli alunni delle scuole secondarie evidenzia il crollo nella frequentazione degli amici per il 50,5% degli alunni e un aumento del ricorso a chat e social media per comunicare per il 69,5% . Abitudini che permangono anche adesso che la pandemia sembra averci dato un po’ di tregua. Non vi è piena evidenza di quali siano gli impatti di lungo periodo ma abbastanza indicativo appare ciò che emerge da una ricerca dell’ Istituto Superiore di Sanità sulla salute mentale infantile in tempo di Covid-19 quando afferma che la situazione di confinamento ha determinato una condizione di stress notevolmente diffusa con ripercussioni significative a livello di salute fisica e psichica di genitori e figli”

Tuttavia, per alcuni dei problemi emersi si è provato a dare una risposta precisa. Sul tema delle carenze digitali, il Ministro della Innovazione Tecnologica, Vittorio Colao, ha annunciato un investimento di 500 milioni di euro per la formazione digitale di base . Per il contrasto alla disinformazione la Commissione Europea ha finanziato, attraverso il programma di ricerca e innovazione Horizon Europe, l’Osservatorio Europeo sui Media Digitali, a cui sono collegati Osservatori nazionali. In Italia l’hub di riferimento è l’Italian Digital Media Observatory (IDMO).

Per far fronte ai problemi emersi in bambini ed adolescenti a causa della ridotta socialità, il World Economic Forum ha suggerito alcune linee di intervento de seguire , in particolare :1) Investire a livello pubblico e privato sui servizi e sui programmi di prevenzione/promozione/cura della salute mentale e psico-sociale di bambini e ragazzi; 2) Attuare politiche, programmi e servizi community-based “tarati” sugli specifici bisogni di bambini e adolescenti.

Ma come si pensa di intervenire in Italia per la ricostruzione di un tessuto sociale danneggiato dal Covid-19 in cui si osserva una tendenza spiccata all’isolamento e all’ individualismo?

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che punta al rilancio dell’economia italiana, ha stabilito in maniera molto netta i settori prioritari a cui è stata destinata maggiore dotazione finanziaria: in primo luogo il settore delle costruzioni, attraverso investimenti nelle seguenti missioni: rivoluzione verde e transizione ecologica (missione 2) e infrastrutture (missione 3). In secondo luogo, il settore manifatturiero, supportato da investimenti in molteplici missioni (Missione 1-2-3-4-6) .

Il punto, quindi, è che anche un investimento strategico e innovativo continua a sovvenzionare settori tradizionali dimostrando una scarsa attenzione a problemi ed esigenze emersi durante la pandemia, e che si sperava potessero trovare risposta nel PNRR.

Leggendo il documento programmatico “Piano nazionale di Ripresa e Resilienza” è lampante il ruolo minore della missione 5 dedicata ad infrastrutture sociali, famiglia, comunità e terzo settore. Sorprende, infatti, che la maggior parte delle risorse (9,07 miliardi su un totale di 11,22 miliardi) siano destinate a rigenerazione urbana e housing sociale, quindi sempre afferente al settore edile. Il resto del pacchetto prevede 1,45 miliardi stanziati a favore di servizi sociali, disabilità e marginalità sociale ed appena 0.70 miliardi allocati per sport e inclusione sociale. Una tale sbilanciata distribuzione delle risorse, oltre a minare la promozione del terzo settore auspicata anche dal suddetto piano, lascia i cittadini privi di un’offerta potenziata di servizi ed attività che mettano al centro dell’attenzione partecipazione, aggregazione ed interazione. Attività che diano la possibilità a ragazzi e famiglie di ritrovare quegli elementi di socialità, persi durante la pandemia, direttamente nelle proprie città e nei propri quartieri. Che spronino i ragazzi ad allontanarsi dai dispositivi digitali per ritrovarsi insieme, per partecipare, condividere, relazionarsi.

In conclusione, se il ruolo delle istituzioni al tempo dell’emergenza sanitaria è stato principalmente quello di garantire cure e contenere il diffondersi della pandemia, adesso la priorità dovrebbe essere quella di facilitare il percorso di ripresa, economica…ma non solo. Il Covid-19 ci ha lasciato in eredità gli effetti negativi dell’isolamento e sorprende che un piano di ripartenza non tenga in considerazione questi elementi per supportare una rinascita che passi dalla ricostruzione completa del patto sociale.

I soggetti privilegiati dovrebbero essere le associazioni, i centri sportivi, culturali e ricreativi, le fondazioni, ovvero quella miriade di soggetti riconosciuti come Terzo Settore che per stratificazione culturale e senso civico possono giocare un ruolo nella riappropriazione di una dimensione naturale di condivisione e socialità. Ad essi dovrebbero essere destinate quote dignitose di finanziamenti per promuovere la promozione sociale alla scala locale, dalla città fino al quartiere di periferia. Il tutto nella logica che lo sviluppo di una comunità è altra cosa dalla semplice crescita economica.