La città che nell'immaginario collettivo è un insieme statico di strade, edifici, monumenti, negozi e servizi è piuttosto un organismo complesso, in cui ogni senso di gerarchia o persino di omogeneità dei valori è in continua evoluzione. Essa è paragonabile ad un labirinto con reti di interazione che non seguono alcuno schema razionale quanto sono piuttosto il prodotto di uno spontaneismo al limite della ingovernabilità. La sua forma e dimensione non coincide in alcun modo con la storia della pianificazione urbanistica, vista come insieme di linee orientative ed astratte, bensì è il prodotto della forza innovativa imposta dal nuovo modo di produrre e dai rapporti sociali che ne conseguono. Da ciò deriva che il confine amministrativo risulta sempre più un artificio geografico rispetto ai grandi processi economici e sociali che tracimano dalla vecchia città verso il suo intorno definendo conurbazioni di tipo metropolitano. Emblematico è il caso napoletano dove i confini tra i comuni della vecchia provincia sono spesso individuati esclusivamente dalla segnaletica stradale.
Di tutto ciò non tiene conto la legge istitutiva delle Città Metropolitane del 2014 la quale fa coincidere la dimensione amministrativa con quella delle vecchie province piuttosto che delimitare lo spazio fin dove si diffondono le funzioni caratterizzanti lo sviluppo spontaneo del nucleo centrale. Tale peccato originale pone un problema fondamentale nella strategia relativa alla "messa a terra" dei progetti inseriti nel PNRR della Città Metropolitana di Napoli che rappresenta forse l'ultima occasione per governare la transizione in cui la città è immersa ormai da un ventennio.
Conoscere prima di intervenire dovrebbe essere l'ipotesi per qualsiasi progettualità tenendo conto del fatto che la complessità e la dimensioni della metropoli napoletana richiedono risposte articolate che escludono a priori una destinazione di tipo monosettoriale. Città del turismo, dell'industria innovativa, del terziario, della cultura e della ricerca sono tutte ipotesi legittime ma il problema di fondo resta la capacità/volontà di rispondere alla "sfida della complessità urbana" con una visione unitaria che tenga conto delle linee di tendenza spontanee e delle potenzialità delle singole "aree omogenee" della nascente Città Metropolitana. Sfida che chiama in causa tutta intera la classe dirigente nelle sue diverse espressioni pubbliche e private. Vale forse la pena di ricordare, a tale proposito, il contenuto dell'art.31 dello Statuto della Città Metropolitana che prevede un Comitato di sviluppo "...per perseguire il più efficace raccordo tra pubblico e privato per il conseguimento dello sviluppo economico e sociale dei territori"...".In altri termini si tratta di riconoscere dignità di pensiero a quei "corpi intermedi" della società napoletana che si pongono come anello di trasmissione tra i decisori pubblici, l'opinione pubblica ed i produttori di idee su base scientifica e culturale.
© Gennaro BiondiProfessore straordinario di Economia delle aziende turistiche e Coordinatore di OMeN - Osservatorio Metropolitano di Napoli