La dismissione

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A lungo, nel nostro paese, si è dibattuto intorno al tema di una auspicabile razionalizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. La consapevolezza della dimensione, spesso anche della qualità sia in termini di pregio architettonico che di valori posizionali, di immobili e aree di proprietà sia delle amministrazioni centrali che periferiche, accompagnata dalla certezza della sottoutilizzazione – se non, in moltissimi casi, della assoluta mancanza di funzioni e uso di molti beni – ha prodotto, di sicuro nell’ultimo decennio, una nuova sensibilità, a partire dal legislatore, al governo fino alle amministrazioni periferiche, per individuare soluzioni e definire strategie per il futuro. Si è inoltre maturata la convinzione che, diversamente da quanto sostenuto ancora in un recente passato, occorresse partire, per inquadrare correttamente i problemi e definirne natura e specificità, non più dentro una visuale di spending review, o di riduzione del debito pubblico, ma che accanto ad obiettivi pure importanti, di contenimento di costi e capitalizzazione attraverso l’alienazione dei patrimoni dismissibili, fosse necessario un progetto più ampio di messa a sistema, di razionalizzazione nell’uso dei beni, nella piena valorizzazione di quelli disponibili ma anche di progettualità per quelli eventualmente da dismettere. In altre parole che, accanto a politiche volte giustamente a ottimizzate i beni di proprietà delle amministrazioni pubbliche, con evidenti benefici immediati e futuri per la casse dello stato, si cominciassero a definire, e conseguentemente a mettere in pratica, programmi più complessi di recupero e riqualificazione di interi ambiti urbani cioè che l’occasione rappresentata dalla valorizzazione di un bene dismesso o comunque privo di funzioni da molto tempo coincidesse con una più generale rigenerazione urbana, con significative riverberazioni in tema di promozione civile, economica, sociale, ambientale del territorio. In questo ambito è allora del tutto evidente come la questione della valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico assuma il significato di uno dei capitali decisivi nella sfida, quanto mai attuale, posta in tema di rigenerazione urbana.

A partire da queste considerazioni è oggi possibile immaginare un nuovo modello di funzionamento delle nostre città che si proietti oltre, da un lato superando le schematizzazioni concettuali ed operative degli attuali modi di governare le trasformazioni territoriali, dall’altro disegnando un sistema nel quale sempre di meno saranno le risorse pubbliche necessarie per finanziare la realizzazione, la conservazione efficiente e, soprattutto, una efficace gestione, degli spazi, dei luoghi e dei servizi pubblici.

Nella ricerca “Ricognizione e valorizzazione strategica del patrimonio in disuso sul territorio” realizzata dall’ACEN e dalla Camera di Commercio di Napoli, trovano pratica applicazione in alcuni casi studio localizzati nel territorio metropolitano di Napoli, la ex caserma Cesare Battisti di Nola e l’ex Smom di Pozzuoli. Si è così voluto dimostrare che quanto affermato in chiave teorica e metodologica, o descritta come programmazione di futuri interventi, in vista di una nuova stagione all’insegna di una reale volontà di razionalizzare e valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico, può trovare concreta applicazione in una molteplicità di episodi e beni diffusi nell’area napoletana con esempi di tipologie di beni, soggetti proprietari e, soprattutto, strumenti di intervento, in grado di restituire una varietà di modelli replicabili e anche flessibilmente adattabili al caso specifico, in considerazione sia delle caratteristiche dei beni, delle condizioni al contorno che delle nuove, e ipotizzabili, destinazioni d’uso. In queste simulazioni un ruolo decisivo è stato svolto dall’Agenzia del Demanio che ha fattivamente collaborato nell’individuazione dei beni da sottoporre a verifica e nella definizione delle strategie di valorizzazione.

Nella rubrica mondo invece abbiamo deciso d’illustrare un esempio di riuso di manufatti pubblici all’estero, quello dei 4 gasomentri viennesi dell’area di Shimmering, non tanto emblematico per la riuscita dell’operazione, quanto, piuttosto, proprio rappresentativo delle potenzialità, delle contraddizioni e delle difficoltà che tali operazioni pongono nell’operare concreto.