Intorno al drammatico caso di Cecilia Sala cominciano a circolare nei media, dopo un’iniziale cautela, opinioni assai discutibili. E la più discutibile di tutti sembra (a chi scrive) una certa tendenza a trasformare il ricatto del rapimento in una questione di principio. Come se ogni trattativa per il rilascio della giornalista fosse un cedimento politico al regime liberticida di Teheran e una sorta di legittimazione del sequestro di persona. Come se, piegandosi alle richieste dei rapitori, si finisse per premiare quella “diplomazia degli ostaggi” di cui sono maestri l’Iran degli ayatollah, la Russia putiniana o i terroristi di Hamas.
La verità è che, a prescindere da ogni dichiarato rifiuto della trattativa, i governanti dei paesi democratici hanno sempre fatto di tutto per restituire alla libertà i propri cittadini, venendo cioè a patti con i rapitori. Accettando lo scambio di persone. Versando grosse somme di denaro. L’hanno fatto gli europei. L’hanno fatto ancora più spesso gli americani, sebbene fossero i più ostili a cedere al ricatto.
E d’altronde nessuno più degli italiani conosce la logica inflessibile del rapimento. Per decenni, nel secondo Novecento, il paese è stato vittima di una vera e propria industria dei sequestri di persona. E si trattava di cosche criminali, non di Stati, nè di terroristi. Eppure, invariabilmente, le famiglie dei sequestrati pagarono quel che c’era da pagare. E pagarono anche quando apposite leggi cercarono di impedirlo.
Soltanto una volta accadde che al rapimento si rispondesse con una fermezza inflessibile. Fu nel 1978, quando, di fronte al sequestro di Aldo Moro, la Dc e il Pci proclamarono solennemente che lo Stato non si sarebbe piegato alle Brigate Rosse. E Moro venne ucciso.
Oggi, tuttavia, a cinquant’anni di distanza, taluni storici si chiedono se davvero quella “fermezza” fosse l’unico modo per salvare la democrazia repubblicana dalla violenza politica. E se davvero fu la decisione di sacrificare l’ostaggio a sconfiggere il cosiddetto “partito armato”. E i dubbi sono molti.
© Paolo MacryProfessore Emerito, Federico II