La musica non suona più. D'Alessandro, il promoter dei grandi concerti: «Torneremo più forti, ma il governo si ricordi di noi»

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Dove c'è Musica, quella con la «M» maiuscola, c'è il suo marchio. Un sigillo di qualità sui concerti da non perdere, quelli dell'«io c'ero». Da trentatré anni, la premiata ditta «D'Alessandro & Galli» porta in Italia i più grandi nomi del pop, del rock, del soul e del jazz mondiale: Stevie Wonder, David Gilmour, Neil Young, Eagles, Rolling Stones, Bob Dylan, James Taylor, Mark Knopfler, David Bowie, Eric Clapton, Eagles, Toto, James Brown, Gilberto Gil, Keith Jarrett, John Mayer, Tony Bennett, solo per citarne alcuni. E se non fosse stato per il Covid, a giugno scorso avrebbe portato Paul McCartney in piazza del Plebiscito.

Insomma, quello che non ha fatto nella sua terra d'origine, Mimmo D'Alessandro da Somma Vesuviana lo ha realizzato cinquecento chilometri più a Nord, in quella Toscana che si protende verso il mare dove se ne andò che era un ragazzo. Dopo aver curato negli anni '80 la direzione artistica della Bussola, balera di culto della Versilia, ha prima dato vita con Adolfo Galli ad un solido sodalizio imprenditoriale e poi ha plasmato il Lucca Summer Festival, uno degli appuntamenti musicali più attesi del Paese. Adesso che la musica si è fermata, i riflettori sono spenti e lo show, a dispetto di una regola che non si dovrebbe mai disattendere, non può andare avanti, anche la sua fabbrica di emozioni ha dovuto chiudere i battenti. Così, il grido di dolore e insieme di speranza del promoter delle star risuona nel silenzio assordante del solco che la pandemia ha scavato tra artisti e pubblico.

D'Alessandro, come sta?

«Sto bene, grazie, ma il resto è una tragedia. Questa è una vera guerra, è tutto molto strano e molto stressante».

Certo, nella notte di San Silvestro, mentre il 2019 e il 2020 si passavano il testimone e facevamo tintinnare i calici, nessuno avrebbe potuto prevedere una cosa simile.

«È incredibile, davvero. Ho fatto Capodanno a Napoli, sulla terrazza di un grande albergo a vedere i fuochi. Aspettavamo tanto questo 2020, avevamo grandi progetti».

Invece a maggio, quando ha realizzato che l'edizione 2020 del Lucca Summer Festival sarebbe saltata, ha detto: «È uno dei giorni più tristi della mia vita».

«Era la verità. L'ho detto con la morte nel cuore, perché ero consapevole di quello che sarebbe successo. È un momento veramente terribile. Ho fatto 40 anni di grande lavoro, ho dato la mia vita a questo fantastico mondo. Abbiamo venduto emozioni ovunque e dato un impiego a molte persone. Il nostro lavoro è prima di tutto passione, lo fai per amore della musica. E quando vedi 10mila persone felici, o magari 70mila persone come è stato al Circo Massimo per gli Stones, ti senti appagato. Perchè hai realizzato un sogno: il tuo e il loro. Solo che la gente dimentica tutto da un momento all'altro. Tutto cancellato, anche i 22 anni del festival».

Si riferisce al concerto di Paul McCartney, previsto a Napoli per il 10 giugno scorso. Un evento atteso da tanti, che avete dovuto cancellare.

«Sì, erano sei anni che ci lavoravo. Ho Napoli nel cuore, avremmo riempito piazza Plebiscito, dove anni fa avevamo organizzato Elton John. Nella mia idea, McCartney doveva essere un apripista per riportare la città nel grande circuito della musica dal vivo. Sembrava un sogno realizzato, ma la sfortuna ha voluto che andasse così».

E non sono mancate le polemiche.

«Al dolore per il sogno svanito, che speriamo sia solo rimandato, si è aggiunto il dispiacere per gli insulti che mi sono arrivati per la storia dei voucher. Come se la pandemia l'avessimo portata noi. Se ci penso, ancora non ci credo. Ci resto male, ma resto me stesso. Rifarei tutto quello che ho fatto, la nostra storia parla per noi e testimonia della nostra trasparenza e della nostra credibilità. Se sei in buona fede, vai avanti per la tua strada. Certo, c'è chi è veramente arrabbiato e non si fa domande, ma c'è anche chi ci marcia. Sono più di 40 anni che faccio questo mestiere, e cerchiamo sempre di creare l'evento, come abbiamo fatto per Gilmour a Pompei, allestendo l'area ospitality dentro la Palestra dei Gladiatori. Un grande sforzo organizzativo, ma anche un'emozione impagabile. E ancora, abbiamo aperto al pubblico il Circo Massimo, abbiamo portato Knopfler alle Terme di Caracalla e Paul McCartney dentro il Colosseo per 700 persone. Per la seconda serata, lì fuori erano in 500mila. Si spendono tante energie, si fanno grandi sacrifici, ma è tutto ripagato, e non parlo di soldi. Ad andare in uno stadio sono capaci tutti, per fare certe cose ci vuole amore, ci vuole passione».

Nei suoi ricordi non si può non cogliere una vena di nostalgia.

«È inevitabile. Che bei tempi, sembrano lontanissimi. Ma non bisogna abbattersi, riprenderemo anche meglio di prima».

Rimborsi a parte, una perdita dura da digerire per tanti appassionati napoletani, e non solo. Anche perché, anche al netto del Covid, le stelle della musica sotto il Vesuvio passano sempre più raramente.

«Ho Napoli nel cuore più di chi ci vive. Il mio sogno è che Napoli prenda il posto che le spetta nel circuito della grande musica. Oltre McCartney, ho tanti altri progetti. Continuo a battermi per questo, ma la gente dovrebbe essere più comprensiva e collaborativa. Il sistema dei voucher lo ha scelto il governo per aiutare la filiera, non certo per fregare qualcuno. Se hai comprato un biglietto, i soldi sono tuoi, non li tocca nessuno. Con quel biglietto, se non McCartney, potrai andare a vedere un altro grande nome. Chi conosce la nostra storia sa che in 40 anni non abbiamo mai preso in giro nessuno. Però bisogna crederci un po' tutti».

Anche se è andato via molto tempo fa, la bussola del suo cuore è sempre rivolta alla sua terra natìa. Secondo lei, perché Napoli non ha un posto nel circuito dei grandi concerti?

«La verità è che non ci è mai entrata. Sì, ci sono stati gli Stones e gli U2 al San Paolo, ma sono rimaste occasioni sporadiche: quell'esperienza non è mai decollata. Un altro sogno che ho nel cassetto è quello di ripescare il Festival di Napoli, che all'epoca era più importante del Festival di Sanremo. Questo sarebbe il momento giusto, e a Napoli c'è gente che lo può fare. Napoli è una nazione, abbiamo dialetto che è una lingua, non dobbiamo farci sempre fregare».

Lei ha costruito un grande successo lontano dalla sua terra di origine. Che idea s'è fatto della litigiosità tra i vertici delle istituzioni locali, perfino in un momento così complicato?

«De Luca e de Magistris sono due grandi personaggi, vederli così mi dispiace. Conosco molto bene il sindaco, un po' meno il presidente, ma ho grande rispetto di entrambi. So quanto de Magistris ama Napoli. Poi, certo, tutti possono sbagliare. Il mio augurio è che si parlino. Che mettano l'ego da parte e decidano di remare nella stessa direzione. In questo momento, tutto si può fare meno che litigare».

Intanto, la dimensione virtuale diventa l'unico rifugio possibile per musicisti e spettatori. Che cosa pensa dei concerti in streaming?

«Sono surrogati, palliativi per cercare di sopravvivere. Il concerto è un momento di aggregazione, davanti allo schermo non mi arriva niente. Per carità, è giusto farlo. Ma se non senti il respiro della folla, se non senti il puzzo del sudore del tuo vicino, hai perso tutto».

Intanto, ci guardiamo con diffidenza: davanti al virus, siamo tutti sospettosi e tutti sospettati.

«Dobbiamo accettare una situazione surreale, non basterebbe un giorno per descriverla. La gente non è più quella di una volta, hai paura di chiunque incontri, molti sono incattiviti. Abbiamo perso il calore, la condivisione. E la condivisione è tutto. La vita "è" condivisione. Un abbraccio, una carezza, una cena con gli amici, una stretta di mano. Se togli tutto questo, se togli l'emozione, che cosa ti resta? Ormai parliamo con gli altri soltanto al telefono, o quasi, e gli incontri di lavoro si fanno in videoconferenza. È tutto falsato».

Una riduzione della socialità che lo spettacolo dal vivo sconta in modo particolarmente pesante.

«Purtroppo, sì. Quando vai ad un concerto, ci vai certamente per la musica, ma intorno alla musica c'è una serie di cose che aggiungono valore: parli con gli altri, ti abbracci con chi non avevi mai visto prima. Condividi il sudore, gli odori, la gioia di un momento unico. Ecco, mi manca tremendamente questo: la gente, il confronto, l'incontro».

Ne usciremo migliori, peggiori o uguali?

«Ripeto, sarà come essere usciti da una guerra. Per ora, vedo intorno a me una cattiveria incredibile. Quello che è successo al Cardarelli qualche settimana fa ti fa star male. E se esci di casa e fai un'incidente, non sai se un'ambulanza ti soccorrerà. Difficile dire alla ripartenza che cosa saremo».

Intanto, il distanziamento al quale è stato associato un aggettivo infelice, è diventato veramente «sociale».

«Infatti. Non condivido, ma capisco pure che è necessario. Quando non sai chi è il tuo nemico, in qualche modo devi provare a difenderti. Ma è tutto molto triste».

Più che in altre città, a Napoli il Covid ha tarpato le ali ad una rinascita turistica e culturale.

«Napoli era in un momento felice, era meritatamente una delle città che cresceva più di tutte, ed ha pagato più di tutte. Ci è crollato il mondo addosso, ma dobbiamo guardare al futuro con fiducia: dopo la tempesta, esce sempre il sole e quando si ricomincia si diventa più forti. Ma la politica non ci deve abbandonare».

Nei mesi scorsi si sono susseguiti gli appelli dei protagonisti del mondo culturale italiano, il maestro Riccardo Muti, in una sua lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio, scrive che "l'impoverimento della mente e dello spirito è pericoloso e nuoce anche alla salute del corpo". Lei che cosa ne pensa?

«La cultura non si tocca mai. È vitale come il cibo e più del cibo. Il teatro, il cinema, i concerti: l'aggregazione è il motore, l'ossigeno e il sangue dell'umanità. Lo sport è meraviglioso, ma c'è uno che vince e uno che perde. Ci sono le fazioni, come nella politica. Cinema, teatro, musica e le arti in genere, invece, uniscono sempre. Basti vedere quello che ha fatto la musica nel primo lockdown. E sono emozioni che non hanno prezzo. Ecco, in questo momento invidio chi suona uno strumento. Chi ha questa fortuna, non è mai solo».

Ma come si concilia il distanziamento con l'aggregazione?

«Intanto, vediamo che succede con il vaccino. Dobbiamo imparare a convivere con la mascherina: se prendi le dovute precauzioni, non hai problemi. E poi, si fanno i controlli all'ingresso, i tamponi rapidi. Ma guai a toccare l'aggregazione. Chi tocca l'aggregazione, tocca la vita. Chiaramente, bisogna essere responsabili, il rispetto degli altri è la prima cosa. Chi è positivo al Covid, non deve andare in mezzo alla gente, come è successo. Se fossimo più educati e più buoni, se pensassimo di più agli altri, le cose andrebbero molto meglio. Una cosa, però, è certa: chi dice che siamo il futile, non capisce niente».

Che cosa sarà del Lucca Summer Festival 2021?

«Io sono sicuro che lo facciamo. Magari in altre forme, con le dovute cautele, ma lo faremo. I grandi eventi potranno ripartire solo nel 2022, ma nel 2021 si inizia. Ed è già importante. Il programma c'è già, stiamo facendo degli studi su come organizzarci, non ci siamo mai fermati. Il problema è che oggi nessuno ti ascolta. Li capisco, sono tutti presi dall'emergenza. Ci vuole la sensibilità di aspettare momenti giusti. Ma noi dobbiamo farci trovare pronti, questo è fondamentale. Io spero che dall'inizio dell'anno nuovo possa esserci un ritorno graduale alla normalità. Del resto, la cultura e la salute vanno di pari passo. Se non sei appagato, le difese immunitarie se ne vanno a farsi benedire, ti mollano. E riprendersi è più dura. Se non ti becchi il Covid, vai in depressione, che può essere pure peggio. Bisognerebbe dirlo a chi fa politica, ai governanti che ci hanno completamente abbandonato».

Il governo ha scelto di non sostenere il mondo dei concerti, travolto dalla pandemia. In compenso, ha pensato ad uno strumento legale - i voucher, appunto - per contenere i danni. Quali sono le prospettive sul piano degli aiuti?

«Mi aspettavo una sensibilità diversa. Per adesso sono arrivate tante belle promesse, nient'altro. Sto pagando 30 dipendenti tutti i mesi, ho anticipato la cassa integrazione. Finché ce la faccio, va bene. Ma poi?»

Ha avuto modo di confrontarsi con qualche esponente di governo?

«Ho incontrato personalmente il ministro Franceschini, che è una persona straordinaria. Ma per adesso non si è visto niente. Speriamo che i soldi non arrivino quando non servono più. Dobbiamo cercare di ripartire appena possibile, ma senza forza-lavoro come si fa? Per carità, la salute viene prima di tutto, ma ci devono aiutare. Altrimenti sarà veramente dura».

A quanto ammontano le vostre perdite?

«Stiamo perdendo il 98 per cento del fatturato. Basti pensare che non lavoriamo da febbraio. O meglio, lavoriamo più del solito, ma senza incassare un euro. Gli artisti internazionali sono fermi, dovrei essere incavolato nero, invece riesco a mantenere la calma perché ci credo. Fare casino porta altra negatività, a rompere si sprecano energie. E quello che rompi, lo devi ricostruire. Fare "ammuina" non serve, le cose si ottengono col buonsenso. Adesso dobbiamo stringere i denti ed essere tutti convinti che ce la facciamo. Ce la dobbiamo fare».