La ripartenza sospesa del professionismo musicale

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Mi chiamo Franky B e sono un DJ, Musicista, Produttore Discografico e Direttore Creativo, ormai da circa un ventennio.


Per raccontare il mio mondo durante questi tempi di pandemia cito il termine “ripartenza”, usato nel notevole e preciso editoriale del professor Macry, come punto focale attorno a cui ruota oggi il settore musicale. Il nostro lavoro è, infatti, concepito per la condivisione umana, ma attualmente la nostra condizione professionale è diventata un ossimoro: una ripartenza "sospesa"

I Club (le discoteche non esistono più, forse restano quelle in cui trovi Briatore, Giletti e Umberto Smaila) sono un veicolo di cultura e professionismo, generano tendenze che diventano must in altri ambiti professionali quali la moda, l’arte ed il design, incontrano il Cinema. Forte dell’esperienza maturata facendo il dj nei Club, ho lavorato molti anni nel mondo dell’advertising mondiale riportando e trasformando (anche con riconoscimenti economici piuttosto importanti) i concetti di condivisione e di multisensorialità propri di questi luoghi.
 Il linguaggio lisergico e scintillante dell’opaco notturno genera infatti sempre nuove albe creative, fornendo spunti e motore ai settori più disparati. 

La nostra Napoli è una citta famosa in tutto il mondo, da più di tre decadi anche per il primato di essere una delle capitali mondiali del clubbing e delle nuove tendenze musicali. Eppure, mentre la Germania ha appena varato il Neustart Kultur (un programma ricchissimo di finanziamenti ed agevolazioni per l’industria creativa, culturale e musicale tedesca), in Italia siamo ancora alla "caccia alle streghe", utilizziamo concetti come “Movida”,  qualifichiamo senza pietà ciò che è “essenziale" e ciò che non lo è, senza mai scomodare il libero arbitrio.

In questo modo e mondo i giovani rischiano di perdere il  senso e l'opportunità del vivere insieme e da protagonisti questi anni per loro irripetibili. Sono sempre più emarginati e costretti ad un isolamento che ricorda molto il concetto dell’“Hikikomori“ giapponese (la tendenza all’isolamento), questa volta non volontario, ma obbligato e purtroppo anche necessario.

Ad ascoltare la sorda, litigiosa ed in molti casi paternalistica politica, nel nostro ambito non ci sono alternative garantite, non esiste un tavolo di confronto con gli operatori del settore, attraverso cui manifestare idee, esigenze, proposte. Rappresentiamo una grossa fetta produttiva del mercato, che viene però liquidata e sottostimata come attività non essenziale, al massimo “simpatica” perché “fa divertire”. 

Naturalmente questa discriminazione culturale, oltre a suscitare indignazione e sfiducia, ci pone ancora una volta nella condizione di dover tentare di cavarcela da soli, sperando di ritrovare il nostro pubblico in quei giovani isolati che pure continueranno ad essere la nostra forza, in cui credere sempre e comunque.