La sfida della complessità

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Nell’editoriale di Bruno Discepolo si legge in controluce tutta la preoccupazione e la delusione della città per il suo futuro visto il fallimento della ventennale azione politico-amministrativa che avrebbe dovuto interessare l’area flegrea che da sempre ha rappresentato, insieme a Napoli Est, il caposaldo dello sviluppo produttivo della città e della sua crescita complessiva. Alla domanda se é ancora lecito scommettere su un progetto di rigenerazione urbana e di riassetto funzionale dell’area occidentale di Napoli non si può non rispondere in maniera positiva in quanto tutte le esperienze maturate nelle grandi città industriali italiane ed europee testimoniano la centralità di questi luoghi nella grande sfida del post-fordismo che ha modificato in maniera radicale il rapporto tra organizzazione economica ed assetti urbanistici. Lo dimostrano i recenti dati della Comunità Europea quando ci ricordano che ormai il PIL prodotto nelle maggiori aree metropolitane europee sfiora il 70% con una tendenza positiva prevista per il prossimo decennio.


Allora il problema si sposta sul piano di quella che Edgard Moren definisce la “sfida della complessità”, ovvero sulla capacità di intercettare e comprendere a fondo la dinamica dei diversi processi economici e sociali che nel loro intrecciarsi tendono a modificare in maniera irreversibile gli assetti territoriali delle grandi aree metropolitane. E qui la progettualità che riguarda il futuro di Bagnoli si intreccia con il completamento e l’avvio effettivo dell’Area Metropolitana di Napoli che per molti versi appare ad oggi impaludata in piccoli giochi di potere che non lasciano spazio ad un facile ottimismo soprattutto sui tempi e la capacità di definire il suo Piano Strategico.


Ha ragione Discepolo quando sottolinea la necessità di pervenire ad un progetto condiviso da tutte le forze sociali ed economiche interessate al futuro della città. Evitando come in altre grandi città europee (vedi Barcellona, Berlino ed anche Torino e Milano) quelle posizioni radicali che tendono alla pura conservazione o piuttosto a colmare il deficit di modernità con operazioni di facciata slegate dai profondi cambiamenti in atto nella realtà napoletana e metropolitana. Un contributo in questa direzione può certamente venire dal sano pragmatismo dell’imprenditoria napoletana più avveduta che ha preso coscienza del fatto che il nuovo modo di produrre lavoro e ricchezza si basa sull’innovazione ed il riposizionamento internazionale dei nostri territori. Prima che sia troppo tardi.


Gennaro Biondi