La terza via della democrazia rappresentativa

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Sul piano teorico e concettuale il ragionamento di Bruno Discepolo appare immediatamente condivisibile così come nulla osta sottoscrivere la “public engagement ” proposta da Ennio Cascetta e soprattutto la riflessione di Attilio Belli a proposito del valore aggiunto che produce di per sé in termini socio – culturali il confronto sulle principali tematiche che riguardano la pianificazione urbanistica.

Ma attenzione, se contestualizziamo tale impostazione nel momento storico, culturale ed economico che attraversa Napoli probabilmente qualche osservazione sul piano applicativo e procedurale merita di essere approfondita in direzione dei limiti oggettivi che presenta in concreta lo strumento della democrazia partecipata, anche per le recenti forme di applicazione nel nostro Paese. Innanzitutto, le numerose esperienze di “ascolto”delle comunità locali realizzate nella nostra regione, a scala comunale e finalizzate al coinvolgimento della cittadinanza nelle decisioni istituzionali, si sono risolte quasi sempre o in prosieguo delle campagne elettorali dove il decisore di turno abusa di promesse ed i pochi partecipanti rappresentano solo interessi di parte se non addirittura personali, con la conseguenza che tali incontri finiscono per abortire dopo una o poche sedute creando, anzi, un forte alibi ai decisori pubblici. Ciò evidentemente si spiega con la caduta verticale del senso civico collettivo e con la delegittimazione progressiva che vive soprattutto nel Mezzogiorno tutta intera la classe dirigente.

Anche la partecipazione democratica delle diverse istituzioni al perseguimento di obiettivi di livello programmatico che non comportano un’immediata ricaduta in termini di visibilità ai singoli partecipanti non produce sempre risultati confortanti . Un esempio per tutti. Per la definizione dello Statuto dell’area metropolitana di Napoli che avrebbe dovuto ridisegnare l’intero territorio sul piano istituzionale e funzionale, ovvero il destino dell’intera comunità provinciale, furono organizzati numerosi incontri tra i sindaci dei 92 comuni. Il risultato fu una partecipazione che non andò mai al di là della presenza di una ventina di “primi cittadini” e di una decina di interventi di tipo localistico sul piano economico e di difesa della “sovranità” comunale. Infine, l’esperienza nazionale realizzata dal Movimento 5stelle ha già presentato preoccupanti limiti, in direzione di una falsa rappresentazione della democrazia partecipata e, soprattutto, di una sua pericolosa strumentalizzazione.

Intanto, per ritornare a Napoli la città appare contemporaneamente in una delicata fase “di transizione” sul piano urbanistico ed in forte declino con riferimento al rapporto fiduciario tra decisori e comunità locale come è testimoniato dal crescente numero di assenti che si contano nelle cabine elettorali negli ultimi anni. Il che significa che la realizzazione di autentiche forme di partecipazione democratica al momento appare ancora una pratica di difficile applicazione.

Che fare dunque rispetto alla velocità del cambiamento che l’imperversante innovazione impone al riassetto urbanistico e funzionale delle città e delle maggiori metropoli europee? A nostro parere tra “l’uomo solo al comando” e l’autentica “democrazia partecipata” assume ancora valore la terza via rappresentata dalla “democrazia rappresentativa ” con tutti i suoi pregi ed i suoi limiti. E qui sta il punto, ovvero sul come essa si dispiega rispetto alle grandi problematiche della contemporaneità. Nel nostro Paese (e non solo) si manifesta una sostanziale inadeguatezza della classe politica, declinabile in una proposta progettuale alquanto superficiale, in un quadro culturale di tipo il più delle volte conservativo se non rivolto esclusivamente al consenso personale e di parte più che al perseguimento del bene comune. Sta qui il corto circuito tra decisione ed azione che frena lo sviluppo e condanna sempre più alla marginalità economica ed all’esclusione sociale segmenti della comunità napoletana.

Una via d’uscita potrebbe forse rintracciarsi in un forte rilancio di un’organica collaborazione, franca e trasparente, tra chi amministra ed i corpi intermedi della società napoletana, portatori di legittimi interessi di parte e generali ed in grado di esprimere una progettualità da sottoporre all’opinione pubblica . Del resto, tale forma di partecipazione “dal basso” è prevista, per esempio, nello Statuto dall’Area Metropolitana di Napoli ma – seppur da noi richiesta ad alta voce – non é stata mai presa nella debita in considerazione dal Sindaco della Città.