Lo potremmo chiamare il paradosso napoletano. Un destino condiviso dal resto d’Italia ma che qui assume una dimensione ancora più vistosa. Avere cinque università e oltre cinquemila docenti di ruolo. Vantare una tradizione nella ricerca scientifica di altissimo livello con ricercatori in cima alle classifiche mondiali per impatto scientifico delle pubblicazioni e numero di citazioni. Standard di qualità così alti confermati dai risultati di placement. Per esempio, a tre anni dalla laurea, è occupato l’89% dei laureati in discipline STEM dell’Università Federico II.
In città, ancora, ci sono alcuni prestigiosi enti di ricerca, dagli istituti del CNR alla Stazione zoologica Anton Dohrn, all’ITT, che operano lungo la frontiera della conoscenza; dalla genetica all’ingegneria dei materiali, dalla robotica alle tecnologie quantistiche. Né vanno dimenticate le attività di ricerca che si conducono nei principali ospedali e nell’istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, il Pascale. Un’intensità sostenuta con forza dalle risorse europee che hanno destinato negli ultimi anni centinaia di milioni di euro alla ricerca e all’innovazione. Ad Agritech, il centro di ricerca nazionale coordinato dalla Federico II e dedicato allo sviluppo sostenibile dell'agrifood, che ha la sua sede a Gianturco nell’ex-Manifattura Tabacchi, il PNRR ha consegnato un budget complessivo di 350 milioni di euro.
Eppure, a fronte di questi primati, c’è una storica fragilità del sistema industriale. Sono poche le imprese ad alta tecnologia, molte non dispongono di laboratori di ricerca, ma solo di attività produttive. La quota di occupati nell’industria farmaceutica in città è solo lo 0,9% del totale degli addetti industriali contro l’8,9% di Milano e nell’industria elettronica e delle tecnologie di comunicazione opera l’1,4% degli addetti a fronte del 10,5% di Genova.
A Napoli, per lungo tempo, la catena dello scambio di conoscenza tra università e imprese ha sofferto per colpa di un missing link: meccanismi di trasferimento ostruiti e il passaggio dalla ricerca di base verso la ricerca applicata disseminato di ostacoli. Le ragioni sono tante e qui possiamo ricordare, da un lato, le piccole e piccolissime dimensioni delle imprese, con una difficoltà congenita non solo a realizzare investimenti, ma anche ad esprimere una domanda di innovazione; dall’altro, la resistenza del mondo universitario a incoraggiare i processi di imprenditorialità accademica. Senza dimenticare la disattenzione (e ora l’impotenza) della politica davanti a una sfida fondamentale: creare le condizioni adatte per far crescere le imprese e attrarre investimenti in un’economia post-industriale.
Ora Napoli è davanti a un nuovo scenario, con un’occasione irripetibile da cogliere. La rivoluzione dell’intelligenza artificiale sta trasformando la natura delle imprese: i dati sono diventati la nuova materia prima e la capacità di utilizzarli sarà il fattore critico alla base del vantaggio competitivo. Non solo per le imprese high-tech, dall’aerospazio all’automotive, ma anche per i segmenti tradizionali come l’alimentare e il fashion, dove conserviamo ancora posizioni di forza. Un campo di gioco dove la partita è ancora aperta e dove Napoli, tra le città italiane, è una delle poche in grado di toccare la palla. Perché possiede competenze elevatissime non solo nei domini tecnologici ma anche nelle scienze umane, decisive per porre alle nuove “macchine” delle fabbriche intelligenti le domande giuste. Rafforzare la trama industriale – una manifattura leggera, ad alta intensità di conoscenza, che non inquina perché non trasforma, per la quale sono indispensabili capacità di calcolo, energie rinnovabili, creatività e fantasia nelle applicazioni, un clima culturale effervescente, spazi: risorse di cui Napoli è più ricca di quanto si immagini – è la strada obbligata per una reale “rigenerazione” urbana, per non rassegnarsi al declino, per mantenere e attrarre qui intelligenze giovani, per non lasciarsi ingannare dal miraggio di un’economia trainata dal turismo.
© Francesco IzzoOrdinario di Economia e gestione delle imprese – Università di Napoli Federico II