"Leggi che ti passa" / Svegliami a mezzanotte

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“Nessuno è in grado di capire un suicidio. Per lo più non lo capisce neanche il suicida”. Così dichiarava in un’intervista Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz e poi morto suicida circa quaranta anni dopo. Probabilmente ferito a morte da quella esperienza drammatica e ignobile.

Questa stessa frase è ripresa dall’autrice di “Svegliami a mezzanotte” la partenopea Fuani Marino, sopravvissuta al suo suicidio, oggetto del suo libro. Con un racconto che per lei rappresenta un dovere e allo stesso tempo un’opportunità, l’autrice, sfidando pregiudizi e critiche, ricostruisce il percorso che l’ha portata a quel gesto estremo.

La descrizione della malattia mentale come disturbo negato, non accettato da una società che si professa aperta e liberale, ma che in realtà è piena di pregiudizi e tesa a nascondere verità scomode, il suicidio, come gesto estremo oscuro e incolpevole, la solitudine di fronte alla maternità e al senso di inadeguatezza che comporta sono i grandi temi affrontati nel libro.

Fuani Marino, scrittrice protagonista di un racconto autobiografico, a 32 anni, madre di una bambina di 4 mesi si butta dal quarto piano di un edificio e nel libro lo riporta con grande efficacia con la frase “e poi sono caduta, ma non sono morta”.

Il racconto prosegue con il prima e il dopo la caduta. L’autrice, consapevole della sua fragilità psichica, si sente vittima del pregiudizio verso la malattia mentale, pregiudizio che può costare la vita. Il ricovero, osteggiato da medici e familiari nel tentativo di preservarla e di non consegnarla all’etichetta di malata, è invece da lei ritenuto unico rimedio e sicuro sollievo.

Bella la dedica finale alla figlia, ora bambina, che l’autrice vuole rendere edotta della verità “vera”, scevra da chiacchiere e cattiverie, per proteggerla, come solo una madre sa fare, da quella potenzialmente divulgata da terzi.

Intenso e coraggioso, ricco di riferimenti letterari e scientifici, frutto anche della formazione dell’autrice, “Svegliami a mezzanotte” è un libro forte e appassionante che si legge tutto di un fiato. Ha il pregio di demolire gli stereotipi e i giudizi facili e superficiali di chi liquida il suicidio come mero atto di debolezza e nel contempo di denunciare l’inadeguatezza degli operatori, dei familiari della società tutta rispetto al disagio femminile ed alla malattia mentale, della sua oscurità e della sua forza, che rende chi ne soffre sempre “sull’orlo del precipizio”.