Il proliferare di studi e ricerche sull’ intelligenza artificiale non sfugge all’attenzione dell’opinione pubblica napoletana impegnata in una complessa discussione sulla rigenerazione urbana ed i suoi assetti territoriali. Nel confronto di idee e progetti si evidenziano due linee di pensiero, rispettivamente di tipo ottimistico e pessimistico con buone ragioni per ciascuna di esse. L’esperienza degli ultimi decenni suggerisce ad entrambi gli schieramenti di riflettere in maniera preliminare su quanto ci ricorda Mauro Ceruti nel suo “Il tempo della complessità”: "….forse non sempre chi non conosce la storia è condannato a ripeterla, ma certo chi conosce la storia ha qualche strumento in più per non ripeterla”.
Partendo da tale assunto è utile riassumere in breve la storia economica della città che si caratterizza per tre grandi fasi. Fino alla metà degli anni ’80 del secolo scorso la grande industria rappresentava il motore dello sviluppo di Napoli ma con la chiusura dell’Italsider nel 1992 (investimento da 1.200 miliardi di lire ed 8.000 addetti) e delle maggiori aziende nell’area orientale (dove risultavano occupati 76.000 dipendenti) si concludeva di fatto la “deindustrializzazione” della città. A tale fenomeno fece seguito l’avvio di un processo di terziarizzazione piuttosto modesto basato su attività spesso marginali (anche oltre a legalità) a differenza di Torino e Milano che imboccavano invece la strada dei servizi innovativi e dei settori ad alto valore aggiunto (in primis arte e moda). A questo processo spontaneo simbolo del malinconico declino della città si sovrappone nell’ultimo decennio lo tzunami del turismo con le sue ben note caratteristiche che contribuiscono alla crescita del PIL cittadino ma nello stesso tempo alimentano il social divide (crescita della rendita immobiliare e precarizzazione del lavoro).
Per gli ottimisti ed i pessimisti restano due certezze. La prima riguarda il fatto che il turismo da solo non può reggere lo sviluppo della città in quanto presenta ad oggi molte caratteristiche di un fenomeno congiunturale; la seconda sta nella convinzione che la scala metropolitana è fondamentale per “fare sistema” in una realtà in cui la complessità economica e sociale appare del tutto evidente. Lo sviluppo urbano assume dunque le dimensioni di un compito che non può essere affidato al solo decisore pubblico, quanto piuttosto all’intera classe dirigente e partecipata dalla comunità locale. Il punto di partenza per costruire una Visione in corsa con i cambiamenti in atto deve fare i conti con l’ingannevole pregiudizio che ritiene di fissare per sempre i lineamenti nostalgici dell’identità di un territorio e della sua comunità locale. Andare oltre, costruire il sapere del dopo, trasformare indizi in probabili certezze, significa legittimare in un’utopia “possibile”, ciò che Agostino Riitano nel suo recente ”Situare utopie” ritiene utile per “risvegliare la coscienza anticipante, ovvero la capacità profetica della comunità”.
Il passaggio dalla teoria alla pratica resta un’operazione complessa e delicata ma nello stesso tempo anche affascinante a patto di non finire per essere solo testimoni di quanto affermava nel 2004 Kunzmann : “...ogni storia di rigenerazione (urbana) inizia con la poesia e finisce con la proprietà immobiliare”.
Si pone quindi un problema di metodo finalizzato alla costruzione di una “comunità pensante” in cui abbiano diritto di cittadinanza le storie personali e quelle locali, gli eventi presenti e quelli sperati, le forme di socialità vincenti o sconfitte. Il tutto nell’ottica di dare risposte concrete al “diritto alla città” di ciascun cittadino. Su queste premesse lo strumento strategico non può nella nostra realtà che essere la Cultura intesa nel suo senso antropologico, ovvero come tutte le manifestazioni delle abitudini sociali di una comunità ed i prodotti delle attività umane che ne derivano. In questo modo si restituisce alla comunità la possibilità definire una “coscienza collettiva” del futuro.
Resta il dilemma del finanziamento della cultura confinata nel recinto dei “beni comuni” e come tale dipendente da capitoli di bilancio del settore pubblico sempre più contenuti. Riflettere sulle opportunità offerte da forme di partenariato Pubblico/Privati è un tema finalmente all’ordine del giorno di istituzioni avvedute ed imprenditori innovatori. Operazione che va oltre il persistente luogo comune che la spesa culturale soddisfa solo le esigenze della nuova middle class. I recenti casi di Matera capitale della cultura europea nel 2019 e di Procida capitale della cultura italiana nel 2022 dimostrano che è possibile “situare utopie e che la cultura trasforma la città" (Riitano).
Resta un suggerimento per i pessimisti e per gli ottimisti ovvero il pericolo che la delega incondizionata alla I.A. nella costruzione del futuro delle nostre città potrebbe indurre ad una progettazione senza etica con conseguenze al momento nemmeno immaginabili. In conclusione mi torna in mente il monito di Ted Kennedy nel suo famoso discorso del marzo del 1968; “…Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago (…) misura tutto eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta."