Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

Ma è tutta colpa dei disonesti?

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L’evasione fiscale è una delle cose che fanno più arrabbiare gli italiani. In un paese che, di volta in volta, si è diviso con grande enfasi tra fascisti e antifascisti, “forchettoni” e “trinariciuti”, craxiani e berlingueriani, berlusconiani e antiberlusconiani, “sudisti” e “nordisti”, in un paese storicamente dedito a combattere piccole (sebbene incruente) guerre civili, quello dell’evasione fiscale sembra il vizio meno tollerato. Sessant’anni fa ci dividevamo tra Don Camillo e Peppone, oggi tra onesti e disonesti.

Naturalmente, l’ira degli onesti ha ottime ragioni. Tra dipendenti e autonomi, per dirne una, il gap di “fedeltà fiscale” è vistoso, come lo è tra chi possiede appartamenti accatastati e chi ha abusato del pubblico territorio. Per non dire di quanti, dopo aver riparato qualche guasto domestico, “dimenticano” la fattura.

E però siamo sicuri che i disonesti siano tutti eguali? E che la grande evasione non sia uno di quei Marchingegni del Diavolo i quali, a costo di evidenti ingiustizie sociali, finiscono per tenere in piedi un apparato produttivo e terziario altrimenti a rischio di sopravvivenza? E abbiamo fatto i conti di quanti giovani (e meridionali) sopravvivano grazie all’economia sommersa? E di quanti - tra gli onesti - non traggano vantaggi diretti e indiretti dal Grande Vizio?

Certo non basterà, per regolarizzare tutto ciò, la “pace fiscale” di Salvini. Ma forse è una semplificazione credere che la crescita stentata del sistema-Italia derivi semplicemente dai disonesti e che basti smascherarli per recuperare ricchezza e posti di lavoro.

Dopotutto è la storia della Repubblica a suggerire quanto sterile si sia sempre rivelata, all’atto pratico, la sua cronica divisività.