Mani sulla città

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L’interessante articolo di Marco Demarco che introduce questo dibattito propone un parallelo fra le azioni degli operai inglesi del XIX secolo che si opponevano all’introduzione dei moderni telai meccanici e i cosiddetti “nuovi luddisti, [...] nuovi consumatori di suolo e di risorse, [...] chi ne possiede le parti migliori e per non perderne l’uso esclusivo non vuole che altre ne nascono”. Ovvero, secondo De Marco, i nuovi luddisti si oppongono, nella città di Napoli, al cambiamento per fini meramente utilitaristici. In parte ciò è senz’altro vero e a loro si sono uniti i molti professionisti dell’ambientalismo che tanto ricordano i “professionisti dell’antimafia” di sciasciana memoria.

Ma questa resistenza non avrebbe portato ad alcun risultato (come nessuna azione luddista poté fermare la Rivoluzione Industriale) se non si fosse innestata su di un contesto socio-culturale che guarda al passato come ancora di salvezza. Uno zeitgeist intriso di retorica decadente che, non credendo al futuro, guarda con terrore a qualsiasi ipotesi di cambiamento.

In questo contesto hanno avuto facile gioco i molti che hanno fondato le proprie carriere sulla cultura della paralisi. In questo contesto è stata scritta l’ultima sciagurata variante generale al PRG che, di fatto, ha decretato l’impossibilità di realizzare nel centro storico di Napoli un qualsiasi intervento di architettura contemporanea. Ad esempio, secondo questa norma, qualsiasi fabbricato del centro storico eretto prima del 1943 non può essere abbattuto, determinando di fatto il lento generarsi di “carie urbane” all’interno del tessuto cittadino: viene lasciato marcire qualsiasi edificio il cui costo di restauro e manutenzione superi quello del valore medio di mercato.

Per superare l’impasse è necessario che maturino i tempi per una profonda rivoluzione culturale che consenta alla collettività di credere nuovamente nel futuro. Solo così si potrà tornare a riflettere sulle modalità di manutenzione e rivitalizzazione della città, solo così si potranno riscrivere le regole del prossimo piano di recupero del centro storico. Ma lo spirito decadente e passatista che ha caratterizzato il dibattito culturale nella nostra città si sta diffondendo nel resto dell’Europa germinando i movimenti populisti che affliggono molte democrazie del vecchio continente (Napoli ha spesso anticipato i tempi rispetto a quanto è accaduto in Europa). Ed è per questo che è in questa città che si devono ritrovare le energie per tornare a credere nel futuro. Potrebbe essere proprio il dibattito sulla trasformazione urbana ad avviare questo meccanismo virtuoso. Le tante “carie urbane” che sono nate in questi decenni necessitano di interventi immediati e non è certo la soluzione del “com’era, dov’era” quella che convince di più. Non è la prospettiva del “finto antico” quella che riesce a sedurre le nuove generazioni che, se pur spaventate, dimostrano una coraggiosa e forte autonomia di giudizio.

Cominciamo allora a parlare di “mani sulla città” in un’accezione nuova e progressista. Perché le mani sulla città si DEVONO mettere (pena la sua inevitabile decadenza) per procedere però ad una scrupolosa manutenzione dell’esistente e ad un’attenta - ma culturalmente coerente - sostituzione delle parti più degradate al fine di consentire che ogni generazione possa lasciare, nel tessuto urbano, il segno del proprio tempo.