Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

Memorandum per gli antipatizzanti

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Capisco che, se mai avessi qualche estimatore, così me lo gioco per sempre. Ma ragioniamo cinque minuti a mente fredda. Ragioniamo sul politico meno amato in Italia.

Nel 2013 Renzi sconfisse Bersani alle primarie del Pd, presentando l’ipotesi di una sinistra riformista, liberale ed euroatlantica. Poi governò con una buona squadra, promuovendo diritti, welfare, un diverso mercato del lavoro. Poi propose quella che, pur con ogni limite, costituiva una storica svolta costituzionale. Poi bloccò il progetto salvinian-zingarettiano dell’estate del papeete. Infine giocò l’avventurosa partita di poker del disarcionamento di Conte e della sua sostituzione con Draghi.

Nel frattempo, avendo attaccato con le sue politiche il santuario della sinistra post-comunista e sindacale, ebbe contro i D’Alema, gli Orlando, i Landini. Legittimo. Ma dovette vedersela anche con la guerra senza quartiere che gli scatenarono i magistrati. E con l’ostilità dei Floris, Gruber, Berlinguer, Travaglio.

Ecco, credo che valutare oggi Renzi significhi valutare cosa sarebbe questo paese se non ci fosse stato Renzi. Del quale gli odiatori ricorderanno l’antipatia caratteriale o qualche “missione all’estero” di troppo, dimenticandone tuttavia l’intelligenza strategica: nel febbraio 2021, quando capirono che quel leader senza esercito li stava clamorosamente sconfiggendo, i grillini gli offrirono sottobanco mari e monti pur di farlo desistere. Renzi non si piegò, anche se sapeva bene che un governo di unità nazionale avrebbe significato l’irrilevanza sua e del suo partito.

Mostrò di avere la stoffa dell’uomo di stato. Di agire avendo come bussola l’interesse del paese.