METROPOLITANO vs URBANO

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In poche settimane la Città Metropolitana di Napoli o ex-Provincia come ancora titolano, ahimè, alcune testate giornalistiche, ha vissuto due passaggi fondamentali, entrambi paradigmatici. Da pochi giorni si sono concluse le elezioni del Consiglio Metropolitano di Napoli, elezioni di secondo livello per scegliere 24 nuovi consiglieri oltre il Sindaco, già eletto. È il nuovo governo metropolitano, scelto attraverso il cosiddetto voto “ponderato”, misurato in relazione alla dimensione demografica di ognuno dei comuni metropolitani, con un vantaggio evidente a favore del comune capoluogo nella composizione delle maggioranze elette. Naturalmente quasi nessuno se ne è accorto poiché, essendo elezioni limitate a solo 1500 votanti, tra sindaci e consiglieri comunali, le comunità vengono di fatto private (per la seconda volta) del diritto democratico di scelta dei propri rappresentanti. Una circostanza che allontana di fatto le persone dalle istituzioni e non aiuta al consolidamento di una cultura o di un’identità metropolitana, ancora oggi solo vagamente percepita e ristretta a pochi cittadini informati.

Il secondo argomento riguarda lo stanziamento di nuove risorse economiche per le città metropolitane predisposte dal PNRR. Anche qui risorse ingenti, con tempi molto limitati, quasi impossibili, di spesa. Con il Piano di Ripresa sono stati stanziati 2,7 miliardi di euro per le 14 città metropolitane, diversamente ripartiti attraverso l’applicazione di un indice di vulnerabilità sociale e materiale (IVSM), che deve essere superiore a 99 o superiore alla mediana dell'area territoriale. All’interno dei Piani Urbani Integrati (PUI), nuovi strumenti di programmazione metropolitana ai sensi del Decreto Ministeriale 152 del 6 dicembre 2021, gli interventi previsti dovranno avere un valore, per ogni PUI, non minore di 50 milioni di euro, secondo la Missione 5 (inclusione e coesione) e la componente 2 (infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore) del PNRR. Per essere finanziabili gli interventi dovranno perseguire l’obiettivo del miglioramento delle aree urbane degradate e i progetti dovranno essere ad iniziativa pubblica su proprietà pubbliche, secondo temi strategici (forse anche troppo generici) che contengano, così come richiede il PNRR: il riuso e la ristrutturazione di edifici pubblici, il miglioramento della qualità ambientale, la digitalizzazione delle aree urbane e la riduzione delle emissioni di CO2.

Entro il 7 marzo le città metropolitane hanno presentato i loro piani che, in assenza di un quadro pianificatorio-programmatorio e senza la necessaria partecipazione pubblica, impraticabile per i tempi del PNRR, rischiano di essere semplicemente un assemblaggio di progetti già precedentemente elaborati, tirati fuori all’ultimo momento, più che il risultato di un percorso strategico-programmatico, condiviso con i territori. E così, al ritardo ormai consolidato delle città metropolitane nel loro assetto istituzionale, si somma l’assenza di pianificazione/programmazione che rischia peraltro di diventare dovunque il carattere permanente del PNRR: la possibilità di spendere risorse ingenti, di farlo in tempi brevi, scegliendo temi e obiettivi d’investimento spesso slegati tra loro e senza un quadro complessivo di riferimento, con il rischio incombente di realizzare tanti interventi separati, smarrendo quell’opportunità più complessiva di sviluppo che il PNRR dovrebbe rappresentare per il Paese. A proposito dei PUI per la Città Metropolitana di Bari, il presidente di INU Puglia, Francesco Rotondo ha espresso una valutazione critica sul metodo utilizzato: “Si chiamano Piani Urbani Integrati ma sembra mancare sia la dimensione pianificatoria che quella di integrazione delle proposte, che dovrà essere cercata a posteriori. In assenza del Piano Territoriale Metropolitano e del Piano Strategico, gli interventi non possono che essere non pianificati e i Comuni possono fare esclusivamente riferimento ai temi strategici del PNRR che rimangono generici”.

Saranno dunque le città già dotate di questi strumenti ad essere avvantaggiate, come ad esempio, ça va sans dire, Milano, che ha avuto assegnati 277 milioni distribuiti in sei PUI con 51 interventi, per i quali sono state elaborate specifiche linee programmatiche riferite al Piano Strategico triennale 2019-2021, al Piano Territoriale Metropolitano dell’ottobre scorso e al Piano Urbano della Mobilità Sostenibile.

Tra i Piani presentati, una proposta particolarmente innovativa è quella denominata Città Metropolitana Spugna, redatta direttamente dalla Città Metropolitana, che comprende 90 interventi in 32 comuni dell’area metropolitana milanese e che prefigura un diverso e innovativo utilizzo dell’acqua piovana, riducendo i danni economici e ambientali delle piogge intense, le ormai consuete bombe d’acqua, e stimolando la riqualificazione e la vivibilità degli spazi con il contenimento delle isole di calore e il sostegno alla biodiversità. È un progetto che favorisce e rafforza l’ecosistema della Città Metropolitana di Milano, recuperando aree permeabili con la creazione di nuovi parchi pubblici, i cosiddetti rain-garden, accumulando e depurando acqua che altrimenti andrebbe persa. È una visione strategica che propone di estendere in modo sistematico uno specifico intervento di riqualificazione ambientale, nell’ambito di quella che oggi si definisce transizione ecologica.

A Napoli sono state invece attribuite risorse per 351 milioni di euro, lo stanziamento più alto tra le Città Metropolitane, da utilizzare (e spendere) in sei anni, entro il 2026. Anche qui sei Piani Urbani Integrati, due assegnati al Comune di Napoli e quattro distribuiti sul territorio metropolitano, secondo quella ripartizione in Zone Omogenee proposta in epoca De Magistris, in mancanza di una individuazione più aggiornata e, possibilmente, condivisa.

I PUI presentati dal Comune di Napoli propongono la riqualificazione di quartieri periferici, due grandi aree di edilizia residenziale pubblica collocate in ambito urbano ma con una forte ricaduta metropolitana. Il primo propone il completamento dell’intervento sulle Vele a Secondigliano, quel progetto Restart Scampia avviato dall’amministrazione comunale precedente, per un valore di 70 milioni di euro, mentre il secondo prefigura un intervento di riqualificazione del quartiere di Taverna del Ferro (il cosiddetto Bronx) del valore di 52 milioni di euro. Entrambe architetture d’autore, le Vele di Franz Di Salvo e l’intervento di Taverna del Ferro di Pietro Barucci ma, allo stesso tempo, entrambe espressione della necessità di un loro ripensamento nell’affrontare il tema dell’abitare contemporaneo, partendo stavolta proprio dall’architettura.  

Non a caso per Napoli vengono selezionati grandi quartieri periferici, ai margini est e ovest della città consolidata, ma che esprimono irrimediabilmente una centralità metropolitana, guardando oltre i confini amministrativi ormai impropri della cintura urbana. Scampia e Taverna del Ferro rappresentano in questo senso l’espressione più tangibile della città moderna del secolo scorso, con tutte le sue contraddizioni e, al contempo, luoghi di transizione che descrivono simbolicamente il passaggio dalla vecchia dimensione urbana, ancora resistente, verso una rinnovata dimensione metropolitana, unica strada possibile per costruire una visione condivisa della città contemporanea e della sua complessità. Questa è la vera sfida che oggi si presenta alla nuova classe dirigente, una sfida non più rinviabile per scrivere, a partire da qui, un nuovo modello di sviluppo territoriale. E per recuperare il tempo perduto negli ultimi anni.