Napoli e la progettazione partecipata

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Lo scorso 17 luglio si è tenuto in città un interessante convegno sul tema dei processi di partecipazione nell’ambito della progettazione delle grandi opere, recentemente introdotto dal Nuovo Codice degli Appalti ; è stato organizzato dalla TECNOSISTEM, storica società di engineering napoletana che ho il piacere di dirigere da oltre dieci anni, nell’ambito degli eventi programmati per festeggiare il suo 40esimo anno di attività.

Data la qualità sia dei relatori (esperti che hanno collaborato con la Struttura Tecnica di Missione del MIT nell’elaborazione e messa a punto della nuova normativa) che delle personalità chiamate a commentare le presentazioni (Gaetano Manfredi, Ennio Cascetta e Umberto De Gregorio), il tema è stato ampiamente analizzato riuscendo ad evidenziarne pienamente lo straordinario impatto positivo che tale processo potrà portare nello sviluppo del Paese.

E’ questo il motivo che ci ha condotto a sceglierlo come tema cui dedicare il nostro convegno e la scelta è stata premiata dal riconoscimento giunto dal Ministro Delrio che ha voluto dare il suo contributo attraverso un suo video messaggio appositamente realizzato
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Prima di addentrarmi su alcune personali considerazioni sull’utilizzo di tale strumento nel nostro territorio, ritengo opportuno ricordare che cosa è la progettazione partecipata e come si traduce nel nostro ordinamento.

Innanzitutto è possibile definire la progettazione come “partecipata” se e quando viene costruita non dai soli progettisti, bensì dalla cooperazione sinergica tra tutti gli attori interessati, gli esperti e i soggetti ai quali essa è indirizzata; in tal senso, quindi, la partecipazione indica una modalità attiva e socialmente visibile di contributo alla progettazione da parte di coloro che sono destinati a diventare utenti del progetto, il cui momento principale è costituito dal dibattito pubblico.

Il decreto recentemente emanato prevede che il dibattito pubblico si apra nella fase di elaborazione del progetto di fattibilità, quando le alternative progettuali sono ancora aperte e il proponente può ancora modificare il progetto.

Esso è reso obbligatorio per opere di una certa consistenza, tra i 200 e 500 milioni di euro, a secondo della tipologia di intervento; diviene obbligatorio anche su richiesta delle amministrazioni centrali (Presidenza del Consiglio e Ministeri), degli enti locali (un consiglio regionale, una provincia, una città metropolitana, un numero di consigli comunali rappresentativi di almeno 100.000 abitanti) o dei cittadini (almeno 50.000 elettori). Si sottolinea, infine, che il soggetto proponente è comunque sempre libero di aprire un dibattito pubblico ogniqualvolta lo ritenga necessario.

Il processo è previsto esaurirsi in 4 mesi (prorogabili di ulteriori due mesi nel caso di comprovata necessità) ed è gestito da una figura indipendente, selezionata attraverso procedure di evidenza pubblica; viene organizzato e gestito in relazione alle caratteristiche dell’intervento e alle peculiarità del contesto sociale e territoriale di riferimento e consiste in incontri di informazione, approfondimento, discussione e gestione dei conflitti, in particolare nei territori direttamente interessati dall’opera e nella raccolta di proposte e posizioni da parte di cittadini, associazioni, istituzioni.

Il soggetto proponente, terminato il dibattito pubblico, presenta un proprio dossier conclusivo in cui evidenzia la volontà o meno di realizzare l’intervento, le eventuali modifiche apportate al progetto e le ragioni che hanno condotto a non accogliere eventuali proposte.

Quanto illustrato esprime intuitivamente la potenza del cambiamento intervenuto: è facilmente prevedibile, infatti, che il processo di partecipazione (ancor più se condotto utilizzando sapientemente le opportunità fornite dal web) innescherà dinamiche sociali positive che contribuiranno ad abbattere la ormai granitica diffidenza che ogni cittadino istintivamente associa allo sviluppo di una qualunque opera pubblica, attivando in tal modo energie nuove che concorreranno ad ottenere il rispetto dei budget sia di tempi che di costi relativi alla loro realizzazione e ciò anche grazie al contesto “trasparente” che necessariamente dovrà venire a crearsi.

Venendo finalmente al motivo di questo mio scritto, mi ha molto sorpreso il fatto che al termine del convegno, oltre al generale apprezzamento dei numerosi convenuti, il commento che ho ascoltato con maggiore frequenza è stato: “……peccato però che qua da noi non potrà mai funzionare !”, tutti alludendo alla iconografica insofferenza del popolo napoletano alle regole, tanto più se prevedono la contemporaneità del loro rispetto da parte della popolazione.

Superato l’iniziale stupore, mi sono interrogato a lungo sulla condivisibilità di una tale affermazione, giungendo alla conclusione di non essere d’accordo.

Nel premettere una personale diffidenza sulla diffusa applicabilità dei luoghi comuni ma ciononostante non volendo sottrarmi all’utilizzo di un analogo registro interpretativo, si potrebbe obiettare di contro che la possibilità di partecipare ad un progetto che li riguardi consentirebbe ai napoletani di sprigionare la loro proverbiale fantasia, capacità che indubbiamente li rende famosi in tutto il modo .

Confesso però che il mio convincimento si basa su di un ragionamento molto più semplice, per illustrare il quale provo a porre qualche semplice quesito; quanti concittadini avrebbero approvato l’attuale tracciato della Linea 1 piuttosto che proporre modifiche quali nuove fermate, nuove uscite, ecc.? E quanti commercianti avrebbero potuto condividere se non addirittura migliorare, con i loro suggerimenti, le fasi di cantierizzazione necessarie alla sua realizzazione? E ancora (pur con qualche forzatura), siamo certi che i napoletani avrebbero scelto il grosso corno come prossima installazione a farsi sul lungomare?

Non conosco ovviamente le risposte ma sono sufficientemente certo che le cose sarebbero potute andare diversamente e non necessariamente peggio.

Credo che Napoli meriti assolutamente la possibilità di essere una delle prime città italiane ad attuare processi di partecipazione nell’ambito della progettazione di un’opera pubblica e mi auguro fortemente che quanto prima le sia data l’opportunità.