Napoli: una città divisa e autolesionista?

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Napoli una città che non fa squadra neanche quando la squadra del cuore è in procinto di regalare un risultato atteso da oltre 30anni. Una città che mangia se stessa, permeata della cultura del pareggio. Dello zero a zero. Non io e neanche Tu. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti perché da soli non si va da nessuna parte. Al contrario chi raggiunge obiettivi fa squadra, di più: fa spogliatoio.

Oltre le metafore del calcio, che in queste ultime settimane hanno offerto un triste spettacolo nella contrapposizione tra tifosi veri e ultras criminali tanto da far dire allo scrittore Maurizio De Giovanni che Napoli è “la città più autolesionista del mondo….come se un dannato mago medievale avesse detto: avete tutto questo ben di Dio, ma ogni volta che avrete la possibilità di essere felici troverete il modo di non esserlo”, c’è di più.

A ben vedere anche geograficamente Napoli è città di contrapposizioni: collina e mare, zone-bene intrecciate con vicoli malfamati, borghesi di chiara fama e plebei di infima levatura. E pure storicamente la popolazione partenopea, sempre dominata, è poco incline a governare quello che ha e a godersi quello che riceve. Proprio come se non fosse abituata, come se non riuscisse ad essere comunità.

E per fondare queste considerazioni va sottolineato che il nostro territorio, in base a un indicatore composito, costruito in un articolo di qualche anno fa dall’ O.C.I.S. - Osservatorio Internazionale per la Coesione e Inclusione Sociale su 7 sotto-indicatori (relazioni sociali, economia, parità di genere, cultura, inclusione sociale e non discriminazione, ambiente e fiducia) rientra nella categoria ultima, quella più deteriore, tra le regioni “a coesione sociale molto limitata”.

Le Istituzioni in primis non danno il buon esempio: Regione e Comune sono in perenne contrasto, diversamente da quanto accade ad esempio a Milano, dove ormai da oltre un decennio vige la cooperazione per il bene comune tra istituzioni di colore politico opposto.

Qui da noi persino il sistema produttivo, che dovrebbe essere portatore dei medesimi interessi - quantomeno di tutela delle imprese- è a dir poco diviso, in una lotta fratricida per accaparrarsi una torta che diventa sempre più piccola.

Con la conseguenza quasi sempre di ciò che in economia si chiama “selezione avversa” e che, più semplicemente, ha come effetto che la mela marcia scaccia la mela buona.

Forse a ben vedere lo è anche questo articolo autolesionista, nella misura in cui mette nero su bianco i vizi piuttosto che le virtù che la nostra città ha. E allora che sia un monito per uscire da questa condizione improduttiva e pure bieca di non avere visioni e obiettivi comuni, di non perdonare che a fare cose siano altri quando più in grado di noi.