Necessario il protagonismo dell'operatore pubblico

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Il commento del Dottor Santonastaso alle corrette e “puntigliose” puntualizzazioni del Ministro per il Mezzogiorno è certamente condivisibile , e offre l’ occasione di proporre una davvero sintetica riflessione sull’ argomento.

E’ vero come dice il Ministro, anche se meno noto, che quelli che definiamo “fondi europei” sono risorse italiane che vengono conferite all’ UE, affinché l’ Unione li trasferisca (e neppure il 100%) alle nostre regioni sotto l’ etichetta delle politiche di coesione e convergenza. Da rilevare – a mio avviso – che gran parte dei problemi che Santonastaso con cruda franchezza evidenzia rilevando “lo scarto spesso impressionante” tra teoria e pratica nel loro utilizzo derivano proprio da questa curiosa e patologica pantomima.

Una pantomima che, pur se non ce la siamo inventata noi, è servita dal 1998 in poi a far dimenticare e spesso rimpiangere l’intervento straordinario e a “dare in outsourcing” il problema dello sviluppo. Di fatto per più di venti anni il meridione è stato chiuso in quella che definisco una vera e propria riserva indiana che deresponsabilizza il Paese rispetto al suo principale problema strutturale. Perciò, stando così le cose, è da guardare con favore l’ avvio di un “masterplan” che tenta di attenuare i principali motivi di criticità, ridando spazio -sia pur con una certa insofferenza delle regioni- ad una qualche capacità del Centro di disegnare linee strategiche.

Sarebbe ancor più da accogliere con favore (art.116 della Costituzione) una efficace e (ahimè solo in teoria) possibile capacità delle regioni della convergenza di interpretare il governo di questi fondi con un’ottica strategica . Sarebbe una “rivoluzione” foriera di una capacità di dare anche la linea ad una strategia nazionale di superamento della crisi, capace di riportare il Sud nel circuito dello sviluppo.

Dire che i cosiddetti fondi europei sono sostitutivi e non aggiuntivi è un eufemismo che prende semplicemente atto di una inevitabile e del tutto prevedibile conseguenza. E’ evidente infatti che la contabilità nasconde una dimensione politica sulla quale -fatte le doglianze di rito- si stende un pietoso velo. Penso quindi che sia utile discutere sulla natura ed utilità dei fondi e del loro governo tanto più che l’Unione ha in agenda la revisione delle cosiddette politiche di coesione e non mi sembra che dalle nostre parti ci siano molte idee in giro.

Sarebbe utile almeno iniziare una revisione critica sulla utilità della politica di coesione europea alla quale abbiamo aderito con retorico entusiasmo . Occorre partire dalla constatazione che, a valle, non essendoci stata convergenza siamo mille miglia lontani dall’aver favorito la coesione. Aver cloroformizzato a lungo il problema (assenza di convergenza e coesione) è stata una precisa scelta fino allo scoppio della crisi, ma essa non può continuare ora che emerge in tutta evidenza ciò che non si è voluto vedere prima del 2008, e che cioè da più di un decennio, la convergenza non solo non c’è mai è stata tra le regioni italiane ma che essa non c’ è da tempo anche tra l’ Italia e gli altri Paesi della UE. Questa ormai vecchia novità è da augurarsi che sia un fattore di perturbazione del consolidato conformismo che ha tollerato che il tema della convergenza e coesione tra i territori del Paese fosse poco più di un mito. La vecchia novità è una sgradevole evidenza per molte di quelle Regioni centro-settentrionali che si erano illuse di aver quasi raggiunto nei rapporti con le regioni della convergenza l’ obiettivo mancato dal padrone dell’ asino di buridano.

Il rinsavimento che accenna a farsi strada va colto, a mio avviso, non certo dalla retorica dell’ uso efficiente ed efficace dei fondi europei, bensì in più autoctoni segnali di responsabilità come quello testimoniato dal varo a febbraio 2017 della norma di legge che fissa sulla base della popolazione la quota minima delle spese ordinarie in conto capitale sul territorio. Non è molto, ma meglio di niente e, anche, verificabile ex post.

Parimenti saggia, pur se tardiva, la decisione di istituire Zone Economiche Speciali in aree portuali delle regioni oggetto di politiche di coesione . C’è da augurarsi che sia l’ inizio di un ciclo, l’ avvio di un reale percorso strategico orientato al Mediterraneo . A tal fine va difeso l’ intento selettivo di questa novità troppo a lungo attesa.

Queste misure sembrano annunciare una scelta di responsabile e diretto protagonismo dell’operatore pubblico, l’unico che con indicazioni credibili, responsabili e soprattutto con comportamenti affidabili può dare segnali convincenti a chi deve navigare nel mercato su quali siano le rotte praticabili.