E così, dopo Harvard, dopo Londra, si scopre che anche i professori universitari italiani condannano la violenza di Hamas, ma sono molto filopalestinesi e molto antisraeliani. Parlano di reazione a un regime di “apartheid” e all’“occupazione illegale” delle terre arabe. Definiscono “punizione collettiva” la terribile guerra asimmetrica di Gaza. E chiedono il boicottaggio delle relazioni con i colleghi di Tel Aviv. Nulla, naturalmente, sull’ondata antisemita che sta emergendo in Europa, ovvero nella patria storica dei pogrom (oltre che della Shoa).
Certo, i firmatari dell’appello sono una minoranza degli accademici. Ma sono pur sempre alcune migliaia. C’è da restare allibiti. O invece no. Invece c’era da aspettarselo.
Dopotutto le università sono figlie del contesto politico-culturale in cui vivono. E le università italiane risentono delle tensioni terzomondiste-filoarabe storicamente espresse da una buona parte della classe dirigente repubblicana. Basti citare Giulio Andreotti o Bettino Craxi, per non dire della destra neofascista d’antan. E risentono, non di meno, dei veleni antiamericani e antiatlantici coltivati per decenni dal più forte partito comunista d’Occidente.
A Parigi, nel frattempo, dove pure l’antisemitismo (e l’antiamericanismo) hanno radici forti e diffuse, centomila persone - di sinistra e di destra, da François Hollande a Marine Le Pen - decidevano di marciare in difesa degli ebrei e contro l’intolleranza.
© Paolo MacryProfessore Emerito, Federico II