Oltre il Giardino

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Il significato e l’uso di questi due termini è già fortemente indicativo del mutamento lungo e complesso che, a seguito di una incontrollata accelerazione dopo il secondo dopoguerra, ha trasformato la nobile cultura del ‘giardino’ in quella del ‘verde’, nata per soddisfare il fabbisogno sociale attraverso il raggiungimento di standards urbanistici definiti per legge. L ’ottimale equilibrio tra il costruito e il verde è ancora individuabile nelle città italiane fino alla prima metà del Novecento, come è facilmente riscontrabile nelle cartografie storiche urbane: il verde, presente allora nelle molteplici forme di giardini, parchi, orti, aree agricole e aree naturalistiche, costituisce con evidenza il tessuto connettivo dell’edificato

Oggi è esattamente l’opposto: il sistema diffuso negli impianti urbanistici delle città è stato infatti sostituito da superstiti frammenti in conseguenza dell’atteggiamento ostile, che soprattutto il Novecento ha mostrato nei confronti del verde, considerato come ostacolo all’espansione edilizia e come riserva di spazio per il soddisfacimento di esigenze funzionali o di mire speculative. La reazione a questo declino è presente in misura variabile in tutta l’Europa a partire dai primi sintomi di una crisi legata alla rivoluzione industriale e si manifesta innanzitutto con l’esigenza di tutela del verde urbano in pericolo attraverso indagini conoscitive di censimento e interventi di restauro

Il percorso da seguire appare ormai chiaro: il verde, sebbene non sia più l’iraniano Paradeisos, è comunque una risorsa ambientale, riveste un valore funzionale e speculativo di segno positivo. Dalla seconda metà del Novecento ad oggi si sono ottenuti, infatti, concreti risultati nell’ambito della valorizzazione dell’ambiente naturale e antropico e del paesaggio. Al centro è stato posto l’interesse per il benessere psicofisico dell’uomo e della società, alla quale è dedicata appunto l’affermazione del verde come bene comune, a partire dal primo giardino pubblico, l’Ausgarten di Vienna nato già a fine Settecento.

Napoli come sempre ha una sua storia singolare, fatta di eccessi e di contraddizioni. Dal dopoguerra ha subito anch’essa il depauperamento del verde per fini meramente speculativi ma l’entità della perdita è stata abnorme. Desueta anche la reazione: la città ha accolto con la solita tolleranza due filoni antitetici che non riescono mai a trovare un punto di incontro, quello istituzionale e, da qualche anno, quello civico di cittadini e associazioni stanchi ma volenterosi

Nella condotta distratta, omissiva e dannosa degli enti pubblici competenti si legge con evidenza che il verde è considerato un lusso e pertanto non meritevole di programmi e risorse, prezioso solo nel caso che si debba utilizzare come soluzione estrema come nel caso della Villa Comunale che ha dovuto accogliere l’uscita della Linea 6. A Napoli ovviamente l’eccezione ha confermato la regola  quando, negli anni ’90,  grazie alle iniziative di un amministratore comunale sensibile sono stati realizzati numerosi parchi, anche nelle periferie, e restauri di importanti giardini storici ; soprattutto si è capito che ogni parco pubblico ha bisogno di una struttura tecnica stabile con un direttore e un pool di giardinieri. Il successivo ritorno alla “normalità” gestionale alla prima occasione metereologica ha portato addirittura alla affermazione del verde-killer. 

La cultura del verde appartiene con evidenza a quei pochi che purtroppo non riescono a sfondare il muro di indifferenza, inefficienza e impreparazione delle istituzioni responsabili. Nel caso di Napoli è prematuro parlare di strategie e modelli gestionali operativi;   qui il futuro del verde deve ancora affidarsi a fasi altrove già superate, ovvero a strategie culturali che servano innanzitutto a diffondere la cultura del verde, a formare gli addetti, a conoscere il nostro patrimonio

L’alibi della mancanza di risorse non può bloccare persino la programmazione del futuro attraverso la elaborazione di piani di manutenzione ordinaria e straordinaria, che servano a evitare che si intervenga  solo nelle emergenze. Il  verde per sopravvivere nell’ambiente antropizzato ha bisogno prioritariamente di programmi complessi che partano dalla conoscenza scientifica di quanto possediamo per arrivare alla elaborazione di una competente progettazione generale. Solo in questo quadro è possibile inquadrare il contributo volontario dei cittadini.