Per una casa verde, sicura e mediterranea

Architettura e innovazione dalle periferie di Napoli

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L’architettura degli ultimi anni nella parata di edifici spettacolari, onirici e scenografici ha prospettato alcune strade innovative da percorrere che cercheremo di esaminare, brevemente,  indicandone tre: verde urbano, risparmio energetico e sicurezza.

Nelle utopie moderniste, che si sono spesso incarnate in avvilite periferie, gli edifici si stagliavano come elementi isolati sullo sfondo di parchi urbani in nome di una netta separazione tra “cultura” e “natura”. Negli ultimi anni, la natura ha sempre più frequentemente messo, con esuberanza, radici nelle costruzioni, prendendo possesso delle terrazze, ramificandosi lungo le facciate, avviticchiandosi lungo inediti pergolati. Un atto di rottura, per dirla con Bruno Zevi, è stato l’ampio patio coperto su cui si affacciano gli uffici della Ford Foundation realizzata da Kevin Roche nella “summer of love” del 1967, che si offre come un’oasi alberata nella frenetica vita newyorkese.

Nel lavoro di Emilio Ambasz, il verde non è più un aggettivo ma l’elemento portante dell’opera architettonica in una gamma di espressioni che vanno dall’intimismo ispirato al monumentalismo dell’imponente terrazzamento dell’ACROS di Fukuoka in Giappone.

A scala domestica, siamo in presenza di un’architettura che favorisce il controllo climatico ed il benessere psicologico degli utenti, dove il “green” dovrebbe essere solo il colore delle foglie e non un’etichetta politica. Salpata dal Nord Europa, la residenza verde si è affermata in Italia con il Bosco Verticale di Stefano Boeri, un prototipo di meritato successo, un amichevole “albero di trenta piani” che, con lievi adeguamenti, può essere piantato dovunque.

Più convincenti, pertanto, ci paiono, dello stesso Boeri, il Bosco Navigli e, soprattutto, l’intricato e “lussureggiante” Condominio 25 Verde di Luciano Pia a Torino. Un maestro della scuola napoletana come Michele Capobianco, circa trent’anni fa, gettò un seme nella “piazza” coperta e alberata del Municipio di Acerra che occorre far crescere e coltivare.

Naturalmente, bisogna evitare il rischio che il “green”, diventi un’etichetta appetibile da applicare sull’architettura che non è una merce, anche se tutto, in questi anni, tende a farci pensare il contrario.

Un altro fronte d’innovazione e ricerca, più consolidato, è quello che mira a rendere l’edificio autonomo o, persino, produttivo sul piano delle fonti energetiche

Il meridione d’Italia è un Paese che estrae dal Sole molti milioni di “barili” di energia che gli edifici, adeguatamente attrezzati o progettati, dovrebbero utilizzare immettendo nelle reti e, dunque, sul mercato l’eventuale surplus. Rivoluzionario, in questo senso, è stato il passaggio dalle batterie solari per la produzione di acqua calda alle celle fotovoltaiche che trasformano direttamente la luce solare in energia elettrica. Il passo successivo è quello d’integrare, adeguatamente, le celle fotovoltaiche nell’architettura.

Terzo requisito di un’architettura davvero innovativa, dovrebbe essere la sicurezza se consideriamo che il patrimonio edilizio della Campania risulta essere, secondo indagini dell’Ordine dei Geologi e dell’ANCE - Cresme, uno dei più vetusti ed il territorio regionale, secondo solo alla Sicilia, uno dei più esposti al rischio sismico.

La regione, tuttavia, può contare su un’efficace rete di rilevazione e su una scuola d’Ingegneria di consolidata tradizione e particolarmente attiva nella ricerca.

Un’architettura, dunque, verde, autonoma e sicura. Sperimentale, ma non un mostro partorito da quel sonno della ragione indotto dalla sosta forzata del lock-down dove, nella solitudine, si concepivano, percorsi gerarchici, movimenti obbligati, reti, pannelli e distanziatori. O, al contrario, si vagheggiavano ’”interminati spazi” da dedicare allo smart working quando resiste il mito del “salotto buono” da cui non è stato ancora tolto il cellophane ai mobili. Un’architettura che dovrebbe guardare alla tradizione mediterranea, con le sue corti, i suoi spazi aperti, le terrazze, le logge, una specificità a cui sono estranee le esili reti tecnologiche, le filigrane, i materiali dell’high - tech di marca nord - europea.

Innovazione che potrebbe partire dalle aree dismesse come Bagnoli dove, tra le funzioni da insediare si è sempre ipotizzata un’industrializzazione hi-tech compatibile con i luoghi. Industrializzazione leggera da accompagnare a laboratori di quell’Università che garantisce sempre un presidio istituzionale in territori difficili e ad una quota di abitazioni innovative, a Bagnoli e nell’Area Est dove la residenza si disperde tra il terrain vague e i relitti industriali.