Piano strategico della Città Metropolitana di Napoli: quale visione?

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Esistono poche parole più abusate di “strategia”, troppo spesso chiamata in causa per nobilitare atti burocratici che poco hanno più del mero adempimento amministrativo. Questo è quanto si è verificato in occasione della redazione del piano strategico della Città metropolitana di Napoli, approvato nel giugno 2020, dopo un processo di redazione avviato nel novembre 2018. Venti mesi di lavoro, che hanno visto il coinvolgimento dei Comuni interessati e persino la rituale consultazione degli stakeholder, al fine di rendere formalmente ineccepibile il rispetto di tutti i crismi della programmazione partecipata.

Ne è venuto fuori un documento ben impaginato e ricco di infografiche suggestive, articolato su due direttrici (Sviluppo economico e sociale del territorio, Incremento della qualità della vita tramite la salvaguardia dell’ambiente) e sei assi ovviamente “strategici” (Cultura come sviluppo, Scuole presidio di legalità e integrazione, Autostrade digitali, Consumo di suolo zero, Ossigeno bene comune, Città sicure), che si richiamano agli obiettivi di Agenda 2030. Un esercizio senz’altro pregevole che svolge egregiamente una funzione essenziale, ovvero quella di proporsi come utile salvadanaio per finanziare progetti speciali promossi dai comuni aderenti, ma che ha un fondamentale difetto: non sviluppa una visione. Il che, per un piano che ama definirsi “strategico”, non è un problema da poco.

Per comprendere bene questo aspetto, può essere utile far riferimento all’esperienza che avrebbe potuto – e dovuto – costituire il benchmark di eccezione per qualsiasi tentativo di pianificazione metropolitana, ovvero il primo piano strategico per la promozione della città di Torino, che ha preso forma alla fine dello scorso millennio. In quel caso, infatti, l’intera città fu coinvolta in uno straordinario sforzo di ripensamento della sua storia e delle sue prospettive per lanciare una visione fortemente innovativa destinata a rilanciare una città in piena crisi post-industriale, trasformandola in una delle capitali della cultura europea.

Anche in quell’occasione ci vollero circa venti mesi di lavoro, che però videro muoversi intorno al Comitato Scientifico, al Forum per lo Sviluppo e al Consiglio Consultivo del progetto le migliori energie della città, chiamate a convergere in nove gruppi di lavoro, coordinati da presidenti autorevoli provenienti dai migliori settori della società civile: studiosi, intellettuali, manager, imprenditori. Al processo presero parte personalità di eccellenza come Pasqual Maragall, sindaco di Barcellona e co-presidente del Comitato Scientifico, o Andrea Pininfarina, allora Vicepresidente di Confindustria e attivissimo responsabile di un gruppo di lavoro, che riuscirono a portare un contributo di grande qualità, arricchendo la prospettiva della politica con aperture di ampio respiro. Questo impegno, nonostante l’elevato numero di interlocutori coinvolti (oltre 1000 persone), portò all’elaborazione di un piano coerente che metteva la cultura al centro del modello di sviluppo e che fu poi puntualmente attuato, fino all’evento di punta, costituito dalle Olimpiadi invernali del 2006. Le trasformazioni intervenute nella città nell’ultimo ventennio testimoniano il grande valore di quello sforzo, condotto con costanza e determinazione del sindaco Valentino Castellani e all’assessore Fiorenzo Alfieri.

Sarebbe stato auspicabile che anche la città metropolitana di Napoli provasse a seguire una strada simile, cogliendo l’opportunità del piano strategico come occasione per dare una svolta alla storia della città, invertendo il processo di declino ormai in corso da decenni. Invece, si è preferita la strada più semplice, elaborando un piano “contenitore” che ospita le principali istanze degli enti locali, ma non affronta le più gravi criticità del territorio e non indica una vera strada di rilancio.

Non è però troppo tardi. Dopo una falsa partenza, c’è ancora tempo per rimediare provando a costruire finalmente quella visione che manca da troppo tempo, magari sfruttando lo slancio può venire dalla nuova amministrazione comunale della città di Napoli e ripartendo proprio dalla valorizzazione delle risorse culturali di un territorio che, almeno su questo fronte, non ha nulla da invidiare a Torino.