Proviamo a colmare un ritardo di democrazia

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La partecipazione è oggi un termine troppo spesso abusato, specie nei momenti elettorali, poiché si millanta frequentemente il ricorso a pratiche partecipative come espressione diretta di cambiamento e di coinvolgimento dei cittadini, salvo poi disattenderle sistematicamente nell’azione amministrativa o per manifesta incapacità di gestione delle procedure, nel migliore dei casi, o per una sostanziale e diffusa diffidenza sul concetto che i cittadini possano veramente partecipare alle scelte di governo di una città, per il timore che la democrazia partecipativa possa magari sostituire completamente la democrazia rappresentativa perché, in fondo, solo chi amministra ha la responsabilità di decidere (per quale ragione, altrimenti, verrebbe eletto) e non si può perdere troppo tempo ad avviare lunghi, tediosi e inutili processi partecipativi, i cui esiti potrebbero risultare incontrollabili, ed è questo il caso più frequente. Tutt’al più ci si adopera a comunicare meglio le scelte dell’amministrazione, contrabbandando la comunicazione come partecipazione e placando così le aspettative di cittadini inconsapevoli.

Oggi, dal momento che, almeno dalle nostre parti, non riesce ancora a diventare prassi consapevole di un processo democratico , la partecipazione sta diventando sempre di più un obbligo di legge nell’ambito specifico delle politiche urbane . Nell’urbanistica è da tempo consolidato il ricorso a procedure obbligatorie di partecipazione nei processi di pianificazione, con le consultazioni pubbliche che oggi si avviano già nella fase preliminare di formazione degli strumenti urbanistici.

Anche per l’architettura il nuovo Codice degli Appalti rende finalmente obbligatorio il ricorso a forme di consultazione per la progettazione delle opere pubbliche, almeno quelle strategicamente più importanti , attraverso modalità di partecipazione che possono condurre anche ad una modifica delle scelte progettuali. Giancarlo De Carlo è stato il primo architetto nei lontani anni settanta del Novecento a parlare di partecipazione nell’architettura. Nel suo ‘ L’architettura della Partecipazione’ del 1972, De Carlo, nell’illustrare la sua esperienza del villaggio Matteotti a Terni, progettato insieme agli abitanti, propone una sorta di ‘manifesto’ dell’architettura partecipata, nel quale afferma: “.. gli architetti contemporanei dovrebbero fare di tutto perché l’architettura dei prossimi anni sia sempre meno la rappresentazione di chi la progetta e sempre più la rappresentazione di chi la usa..” . Un’affermazione che preconizza gli sviluppi successivi dell’architettura contemporanea e che, allo stesso tempo, incarna con grande lucidità quello che oggi, forse più di allora si chiede all’architettura.

Questo naturalmente non significa che il progettista scompare o si annulla, anzi. Nell’ambito del processo partecipativo, secondo De Carlo, il progettista dilata il proprio ruolo, partecipa egli stesso a tutte le fasi della progettazione, all’impostazione, alla definizione, alla redazione e infine alla valutazione dell’opera dopo che questa è stata consegnata al committente. Con questo diverso approccio, la partecipazione riesce a trasformare la progettazione architettonica da atto imperativo del singolo, in un processo collettivo. Naturalmente anche strumenti come i Concorsi e i Workshop di Progettazione appartengono al novero delle pratiche, ahimè sempre meno utilizzate negli ultimi anni, di progettazione partecipata.

In questi anni, un caso esemplare di partecipazione democratica ai processi di trasformazione urbana è quello dell’High Line di New York. Una linea ferroviaria sopraelevata realizzata negli anni trenta del novecento che collegava per oltre due chilometri alcuni quartieri di Manhattan. Dopo circa cinquanta anni di onorato servizio si decide di dismetterla e, dopo anni di abbandono, di demolirla. Ma un gruppo di residenti che si riuniscono e danno vita a “Friends of High Line” si oppone, proponendo invece di recuperarla e trasformarla in un grande parco pubblico, aperto alla città.

Nel 1999 l’Amministrazione di New York decide di accogliere la proposta dei residenti di recuperare il luogo e bandisce un Concorso di Progettazione internazionale che viene vinto dagli studi di architetturaCorner Field Operations e Diller Scofidio + Renfro . Nel 2009 viene inaugurato il primo tratto, nel 2011 il secondo e nel settembre del 2014 l’ultimo tratto.

Oggi l’High Line Park, gestito dagli stessi cittadini che ne avevano impedito la demolizione, registra 5 milioni di visitatori l’anno ed è uno dei dieci luoghi più visitati della città . Ma naturalmente quando si parla di partecipazione ci si può riferire senz’altro alla grande tradizione democratica di Parigi, ai suoi ambiziosi programmi di Open Government, dal bilancio partecipativo ai processi di trasformazione urbana, al Pavillon de l’Arsenal come rappresentazione fisica della partecipazione dei cittadini. Come anche, nel nostro paese, alle azioni che sta portando avanti Milano sul bilancio partecipativo e sul Forum della Città Mondo, agli Urban Center come luoghi di avviamento di percorsi partecipativi strutturati attraverso, ad esempio, i Laboratori di Quartiere a Bologna, dove i cittadini partecipano alle assemblee e ai Laboratori con la stessa naturalezza con la quale utilizzano un mezzo pubblico.

È qui nel Mezzogiorno che, come solitamente accade, tutto questo rappresenta un’eccezione che, come tale, riesce a sollevare addirittura perplessità o indugi, senza accorgerci che invece lo sforzo da fare è quello di provare a colmare ancora una volta un ritardo, questa volta un ritardo di democrazia .