Con la fine del secolo scorso l'assetto economico-territoriale della grande conurbazione napoletana ha vissuto una profonda trasformazione che ha definitivamente consegnato alla storia il tradizionale napolicentrismo sostituendolo con un modello di tipo policentrico, alimentato dalla delocalizzazione negli agglomerati ASI (Aree di Sviluppo Industriale) da una parte delle unità manifatturiere già operanti nella congestionata fascia costiera ed espulse per il conflitto con la caotica espansione edilizia. In tale scelta di politica industriale relativa all'intero Mezzogiorno il territorio era considerato sinonimo di suolo ovvero come l'espressione fisica assunta a base della tradizionale teoria della localizzazione industriale. Da parte sua, l'intervento pubblico risultava incardinato su due filoni standardizzati: la crescita delle singole unità produttive considerate il "motore" dello sviluppo economico e la promozione della natalità aziendale. In pratica, la politica industriale non considerava strategica la territorialità insita nel nuovo modo di produrre imposto dalla diffusione dell'innovazione nei suoi diversi aspetto organizzativi e gestionali dell'impresa. Appariva del tutto chiaro il ruolo attribuito all'industria quale promotrice dello sviluppo e la concezione del territorio come beneficiario (probabile) delle scelte strategiche dei maggiori gruppi imprenditoriali. Il risultato di tali politiche, che pur hanno contribuito alla crescita economica in termini quantitativi, hanno concorso alla creazione di nuovi squilibri territoriali ed a nuove forme di esclusione sociale.
La crisi di tale modello di sviluppo industriale è ormai percepibile anche al primo contatto visivo con gli agglomerati manifatturieri, dove l'abbandono di capannoni risulta pari a quanto già avvenuto lungo le aree costiere, mentre il degrado delle infrastrutture e l'assenza di gran parte dei servizi alla produzione concorrono alla definizione di quel gap localizzativo misurato in circa il 20% rispetto alle aree industriali del Centro-Nord. In sostanza, in luogo dell'auspicato policentrismo funzionale ci ritroviamo di fronte ad una diffusa metropolitanizzazione del declino del capoluogo regionale.
Su questa base ed in considerazione dei nuovi modelli organizzativi dell'impresa imposti dall'innovazione tecnologica e dalla globalizzazione dei mercati appare evidente che la territorialità deve rientrare a pieno titolo anche nella costruzione delle politiche industriali, imponendo una revisione di fondo in direzione del riconoscimento della complessità dei processi di sviluppo che non possono prescindere dalla "storia" dei singoli territori. Storie fatte di assetti demografici con le loro caratteristiche qualitative, di tradizioni culturali, di una specifica etica sociale, del contributo delle organizzazioni "di mezzo" della società locale, ecc. Il passaggio dalla "politica industriale" ad una "politica per l'impresa" richiede, quindi, ai responsabili dello sviluppo un approccio non più limitato alle esigenze delle singole unità produttive ma anche al benessere complessivo delle comunità locali, che hanno il diritto di partecipare come attori privilegiati ai processi decisionali.
Ormai lo sviluppo risulta, in maniera sempre più convincente, una costruzione sociale in cui tutti i soggetti in campo, dall'impresa alla società, alle istituzioni, concorrono alla pari alla definizione delle scelte strategiche, determinando così una molteplicità di percorsi che vanno interpretati nella loro specificità territoriale. Se la competitività aziendale si misura sempre più sul rapporto tra strategie imprenditoriali e risorse endogene, allora le istituzioni devono assumersi la responsabilità di promuovere la produzione di valore dei singoli contesti locali. Ma questo discorso ci rinvia ancora una volta alla polemica relativa al completamento del processo di creazione della Città Metropolitana di Napoli ed in particolare del suo Piano Strategico, che dovrebbe essere finalizzato alla costruzione di una identità condivisa dalle comunità locali dei singoli sistemi economico-territoriali.
© Gennaro BiondiProfessore straordinario di Economia delle aziende turistiche e Coordinatore di OMeN - Osservatorio Metropolitano di Napoli