Responsabilità e cultura salvano la periferia

di

Sono passati solo due anni da quando Settimo Torinese ha presentato la propria candidatura a Capitale Italiana della cultura. Pur essendo sconosciuta ai più, questa città di periferia alle porte di Torino che “non ha castelli, non ha cattedrali, non ha affreschi e non ha (ancora) musei di arte contemporanea”, si propose con coraggio raccontando una storia, tutta in salita, di una città di margine che ha trovato l’energia per trasformarsi in una centralità culturale, convinta che le aree periferiche si possano riscattare e, che attraverso la cultura, si possa fare integrazione, ribaltando il proprio destino trasformando elementi di marginalizzazione in opportunità di sviluppo.

Come Settimo ha saputo convertirsi in un laboratorio di idee, di innovazione e di sostenibilità, così ogni periferia può ricostruire la propria identità urbana e sociale, partenza di un percorso che possa essere riconosciuto e rivendicato con orgoglio dai suoi cittadini. È necessario porsi obiettivi chiari e dotarsi di coraggio, determinazione e strategie creative per raggiungerli, procedendo per azioni ed esperimenti, conquistando tappe propedeutiche e progressive.

Innanzitutto il processo di rinnovamento deve partire da un progetto di condivisione in cui la collettività intera lavori insieme: amministratori, politici, architetti, urbanisti, operatori del sociale e tutti i cittadini portano avanti un progetto comune e largamente condiviso. Fondamentale è la creatività: inventare luoghi nuovi; rigenerare spazi abbandonati; ripensare i grandi contenitori residenziali attraverso un nuovo modello dell’abitare incentrato su innovazione, ricerca, sostenibilità e attività culturali che vi si possano condurre all’interno, sperimentando anche meccanismi d’inclusione e di cura condivisa del bene pubblico. In questo senso anche la demolizione deve essere pensata non i termini demagogici ma come strumento di progettazione di parti: piuttosto che disfarsi di alcuni edifici “disfunzionali” si può pensare a una loro reinterpretazione attraverso l’inserimento di funzioni nuove, di idee alternative e di utenti particolari (creativi e giovani), trasformandoli in volani di una nuova economia.

È in questo modo che si innesca l’”effetto città”, attraverso azioni d’iniziativa pubblica e privata nate dal basso, da associazioni di cittadini interessati alla cura del proprio territorio che si riuniscono attorno a progetti specifici per inserire luoghi d’incontro, spazi pubblici, piazze, marciapiedi, luoghi per camminare e per stare insieme. Lavorare sul senso appartenenza della periferia alla città implica anche e soprattutto l’eliminazione dell’isolamento in cui generalmente versano queste aree inserendo servizi e infrastrutture di collegamento treni, bus elettrici, piste ciclabili, infrastrutture ecologiche, riorganizzando e valorizzando ciò che esiste e ripensando in modo nuovo e sostenibile le infrastrutture di connessione.

La storia della piccola città torinese ci insegna che la cultura è lo strumento più efficace per lanciare semi di energia, inneschi di vita e socialità con i quali risvegliare il senso di comunità degli abitanti, gli unici capaci di muovere quei primi passi che portano verso il superamento definitivo della sinonimia tra periferia e degrado.

Martina Fiorentini, Forme della sostenibilità architettonica. Roma. Le figure del riuso nell’edilizia residenziale pubblica, Tesi di Dottorato in Architettura Teorie e Progetto, Dipartimento di Architettura e Progetto della Facoltà di Architettura alla Sapienza Università di Roma, 2019.

"Le azioni del costruire energetico efficiente, quali raccogliere, distribuire, conservare o immagazzinare, liberare, ridurre o limitare, vengono inter­polate con gli elementi naturali (sole, aria, acqua) e con le azioni compo­sitive, tra cui addizionare, sottrarre, intersecare ed unire, attraverso un diagrammale cui combinazioni restituiscono come risultato un abaco di figure del riuso sostenibile. Le soluzioni architettoniche individuate, nuove configurazioni morfologiche legate alla volontà di progettare in favore dell’utilizzo di risorse naturali e alla ne­cessità di ottimizzare il comportamento bioclimatico passivo dell’edificio, innescano uno sviluppo composi­tivo che interpreta il volume da riqualificare come un corpo termodinamico in grado di immagazzinare e liberare energia."