Riitano: «Procida Capitale della Cultura, un progetto per destagionalizzare. Il rischio è il turismo mordi e fuggi»

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La più piccola delle isole dell'arcipelago campano si fa improvvisamente grande. La più nascosta diventa come d'incanto quella più visibile, la meno frequentata, la più desiderata, la Cenerentola si trasforma in regina. Un rovesciamento dei canoni che promette un'estate (e un anno) da protagonista.

Al grido «La cultura non isola», Procida si candida a diventare l'epicentro del panorama artistico e letterario italiano, e non solo. Ma anche, inevitabilmente, punto di approdo del turismo nazionale e internazionale, incuriosito dal clamore mediatico che la benedizione della giuria incaricata dal Mibac ha prodotto.

Così, l'isola di Arturo, la prima che il Belpaese ha elevato al rango di Capitale della Cultura si prepara alla gioiosa invasione con molti entusiasmi e qualche fibrillazione. Perché la promessa nasconde una minaccia: nel passaggio di stato che converte l'invisibile in invivibile, infatti, c'è solo una consonante di separazione. E il timore che l'evento possa irrompere a turbare la quiete selvaggia di questo piccolo paradiso alla periferia delle rotte del turismo di massa, realizzando la nefasta metamorfosi, spaventa gli indigeni e forse ancor più i procidani adottivi, che da anni o addirittura decenni hanno stabilito qui il loro rifugio estivo.

Intanto, la grande scommessa promossa dal Mibac e sostenuta dalla Regione Campania si propone di essere aperta, inclusiva, ecosostenibile. Sotto queste insegne, il 9 aprile scorso Procida ha inaugurato il suo anno da Capitale italiana della Cultura: un percorso lungo 330 giorni con 150 eventi e 350 artisti provenienti da 45 Paesi a comporre un arcobaleno di vitalità, tra concerti sospesi sul mare, letture e film in piazza, mostre d'arte, parate itineranti tra i vicoli e proiezioni sui monumenti. E poi, gli eventi nell'evento, come il festival letterario "Procida racconta" e il "Procida Film Festival", nato dieci anni fa da un'idea del compianto Fabrizio Borgogna.

A guidare la sfida, intorno alla quale si sono strette le migliori energie culturali della Campania e dell'Italia, è Agostino Riitano, timoniere di questa traversata e già direttore, nel 2019, di Matera Capitale europea della Cultura.

Due anni dopo Matera, Procida. In mezzo c'è stata una bufera chiamata pandemia: come è cambiato il turismo culturale rispetto al 2019?

«Bisogna premettere innanzitutto che sia Matera Capitale europea della Cultura che Procida come Capitale italiana della Cultura sono progetti di sviluppo locale a base culturale con strategie orientate ad ottenere una dimensione che pone la cultura come driver. Quello che ci interessa è determinare un cambio di paradigma nella comunità: i primi attori sono i cittadini residenti, la comunità che ospita e crea la sfida, questo affinché la cultura possa essere un elemento che determini una prospettiva di futuro. Quello sul turismo è un effetto indiretto che riguarda quelli che noi chiamiamo "cittadini temporanei". Non clienti, ma cittadini che fanno un'esperienza all'interno di un contesto che si rinnova attraverso l'esperienza culturale. Non abbiamo realizzato un semplice cartellone di eventi, ma un vero e proprio piano strategico con orizzonti molto chiari. Per Procida abbiamo definito quattro pilastri strategici, in base agli agenti critici del cambiamento così come sono definiti dall'Agenda Onu 2030. I giovani e le donne, che devono essere parte attiva di nuove forme di protagonismo democratico; l'innovazione sociale e la rigenerazione urbana, per trasformare i luoghi in modo che possano rispondere a bisogni specifici  della comunità; le imprese culturali e creative, presupposto essenziale per fertilizzare un contesto e per poter avviare la transizione ecologica cambiando i comportamenti delle persone; infine, il turismo lento, che significa lavorare su una dimensione dell'accoglienza incentrata non sul marketing, ma sull'autenticità, una dimensione che consenta di costruire legami che durino nel tempo».

Quanto ha inciso nella preparazione di questa sfida la variabile pandemia?

«Molto. Abbiamo dovuto rimandare la data della cerimonia inaugurale, fissata inizialmente per il 22 gennaio, in quanto il Decreto festività vietava le aggregazioni negli spazi pubblici. E anche il percorso di partecipazione ha risentito della pandemia: abbiamo dovuto lavorare per piccoli gruppi. Dalla pandemia, però, abbiamo sicuramente imparato una lezione che ci ha consentito di immaginare una fruizione ibrida dei progetti culturali, sia in presenza che attraverso le tecnologie digitali, allargando la comunità in termini di accessibilità. In questo momento c'è un grande desiderio di ritrovarsi, e noi abbiamo inaugurato la nostra Capitale della Cultura il 9 aprile con una festa alla presenza del Capo dello Stato. Non un'esperienza chiassosa, ma una festa collettiva».

Dopo il trauma del Covid, c'è più voglia o più paura?

«Dal mio osservatorio, c'è sicuramente un grande desiderio di incontrarsi in forme un po' diverse. Probabilmente oggi può spaventare l'idea di partecipare ad un grande concerto con decine di migliaia di persone, mentre la nostra proposta è più rassicurante, con eventi che hanno una dimensione intima e poetica. Forse anche per questo stiamo riscontrando una grande risposta».

Quali sono le principali differenze tra l'esperienza di Matera e quella di Procida?

«La grande differenza è che i lavori che hanno preparato la candidatura di Matera sono durati più di cinque anni, mentre per Procida abbiamo lavorato due anni. Un altro elemento di differenza è che nel caso di Matera siamo partiti da una comunità penalizzata nello spirito in quanto portava addosso un marchio di città della vergogna. Procida, invece, è un contesto con un grande orgoglio identitario e anche un'identità culturale molto evidente. Questo ci ha consentito di partire subito entrando nello spirito dell'isola».

Qual è l'incremento di presenze sull'isola previsto rispetto al 2019, l'ultimo anno di «normalità» prima del Covid?

«Il 2019 per Procida ha segnato un trend di crescita che era iniziato già negli anni precedenti. In questi mesi di aprile e maggio, che non sono di alta stagione, si è già vista una grande attenzione intorno all'evento: basti pensare che solo ad aprile si sono registrate 60mila presenze. Un altro fenomeno molto interessante è l'interesse delle scolaresche, con le quali da aprile all'inizio giugno abbiamo realizzato diversi progetti».

A Procida è centrale il tema dello spazio disponibile: il timore secondo cui l'isola non possa sostenere una tale pressione turistica è fondato?

«Sicuramente sì. Il vantaggio è che c'è una ricettività molto puntuale e non c'è spazio né intenzione di realizzare nuove costruzioni. Quello che può creare problemi di gestione è la curiosità dei gitanti che sono nelle isole vicine o sulla terraferma e che desiderano vedere da vicino il grande racconto fatto dai media. Le visite mordi e fuggi potrebbero generare picchi di presenze nell'isola. In ogni caso, l'obiettivo non certo è quello di vocarsi al turismo di massa. Non vogliamo trasformare Procida in una Disneyland».

Lei ha ripetuto più volte che «Procida non diventerà una Disneyland», ricacciando lo spettro della turistificazione. Eppure gli abitanti temono un'invasione che sarebbe faticosa da sostenere per una comunità che si estende su una superficie di appena 4 chilometri quadrati. Come si scongiura il rischio di snaturare la vocazione alla tranquillità dell'isola meno commerciale dell'arcipelago campano, che è il suo primo valore attrattivo?

«Non organizzeremo concerti delle popstar o eventi mainstream, così come non abbiamo programmato attività dal vivo nei giorni centrali di agosto, ma mostre e altri piccoli eventi, così da non sovrapporre pubblici diversi. Il nostro è un programma culturale pensato per destagionalizzare. Detto questo, vedo i ristoratori e tutti quanti lavorano nel campo della ricettività felici. Sono i frequentatori abituali dell'isola a temere che il loro buon ritiro in un'isola che ora è interessata da fermento di natura culturale possa essere disturbato. Noi avviamo percorsi e processi culturali che in tanti casi sono anche carsici: workshop, laboratori, mostre. Il fatto che vengano a Procida personaggi come Alessandro Baricco, Chiara Gamberale e Concita De Gregorio dovrebbe soltanto lusingarci, così come dobbiamo essere contenti e accoglienti verso la curiosità che si è sviluppata nei confronti dell'isola».

Intanto, c'è chi segnala che sull'isola sono aumentati anche i prezzi dei beni primari: è una conseguenza inevitabile?

«Non mi sembra. Dalla mia esperienza, il caffè costa uguale e anche la lingua di Procida. Forse ci si riferisce ad aumenti generalizzati dei prezzi, che, si sa, su un'isola soffrono sempre un piccolo sovrapprezzo dovuto ai costi di trasporto».

Questa esperienza cambierà per sempre il turismo a Procida? Se sì, lo farà nel bene o nel male?

«Io non penso che questo sia un progetto di valorizzazione turistica. Il turismo è un effetto indiretto. Io sono concentrato sugli effetti dell'anno da Capitale. Mi interessa sapere quanti giovani riescono a fare impresa culturale, quanto siamo riusciti a rinnovare l'immaginario su un'isola scelta da diversi scrittori, che con "Procida racconta" arriveranno qui, e da questa relazione con i cittadini sei scrittori scriveranno altrettanti racconti. Certo, con Procida Capitale la Campania ha avuto un elemento di grande vantaggio nella ripartenza del turismo nazionale per il lavoro e i valori che sottendono il progetto: cura, accoglienza e legame con la vita. Per fortuna, l'assessorato al Turismo della Regione Campania ha colto in pieno il senso valoriale di questa proposta e gli effetti positivi sono il frutto del lavoro sistemico fatto su tutto il comparto».

Visto dal suo osservatorio, che cosa manca al Sud per compiere quel salto di qualità che porti l'industria turistica ad incidere stabilmente sul Pil?

«Non saprei, non mi occupo di turismo».

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