Sciarelli: «Mercato globale, serve un dietrofront»

Lo studioso: «L'incertezza porta la gente ad investire sulla qualità della vita. Intanto, siamo stati bravi a riconvertire in fretta le produzioni»

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Due anni passati ad evitarci, e adesso tutti stretti più di prima in un unico grande abbraccio. Uniti finché nuova sventura non ci separi. Sull'onda di questo edonismo di ritorno, alimentato insieme dall'insofferenza per un tempo perduto e dall'assillo di una minaccia incipiente, ci siamo riconsegnati alla vita abbandonando ogni indugio. Abbiamo deciso, insomma, di godercela finché ci è dato. E a sentire Sergio Sciarelli, professore emerito di Economia e gestione delle imprese alla Federico II di Napoli e editorialista per diversi quotidiani, non ci è andata poi così male. Almeno per ora. 

Professore, viviamo una fase difficile sul piano economico e sociale. Come la stiamo affrontando?
«Penso in un modo corretto. Potevamo avere una catastrofe, invece le reazioni del nostro sistema sono state abbastanza incoraggianti. È chiaro che nei sistemi più deboli queste difficoltà accrescono le incertezze. Oltre all'elemento inflazione, infatti, c'è il tema dell'approvvigionamento per i sistemi di produzione, un elemento di grande importanza. Nel periodo della pandemia, il rifornimento di prodotti semilavorati è diventato sempre più difficile, poiché in alcune parti del mondo si è fermata la produzione, mentre le richieste sono cresciute. Questa interconnessione così stretta tra i mercati ha portato riflessi su tutto il sistema produttivo, compreso quello italiano. Non a caso, è in corso una riflessione sul significato della globalizzazione e sulla necessità di una de-globalizzazione che renda più autonome le parti che compongono il sistema».

Abbiamo spinto troppo sull'acceleratore del mercato globale?

«Sì, c'è una connessione troppo elevata, per cui basta che un pezzettino non funzioni che trascina tutto con sé. Fino a quando il sistema gira, va tutto bene, ma se si blocca un ingranaggio è un problema grosso. Ora dobbiamo vedere fino a che punto e in quali tempi si riusciranno a riattivare le catene di rifornimento. Intanto, il nostro sistema deve capire che è necessario adeguarsi ad un contesto completamente diverso rispetto a quello di tre anni fa, il che implica da un lato una diversificazione delle produzioni e dall'altro una riqualificazione del lavoro. Sono due temi centrali, in questo tentativo di ripresa. Si tratta di capire quali sono i settori che sono in declino e vanno abbandonati e quali invece vanno potenziati, tenendo presente la necessità di qualificare e la forza lavoro, che non sempre è immediatamente disponibile a riconvertirsi».

Immagino si riferisca alla crisi dei semiconduttori.

«Sì, la produzione era fortemente concentrata in un Paese solo, a Taiwan. Quando lì si è fermata la produzione, è diventato tutto difficile. Se uno vuole comprare un'automobile, deve aspettare sei mesi perché mancano i semiconduttori per l'elettronica. Nella mia gioventù Fiat bloccò la produzione perché il fornitore delle serrature delle portiere si fermò. In quel momento la Fiat capì che non poteva dipendere da un solo fornitore, ma doveva dotarsi di una rete di fornitori che la mettesse al riparo da questi inconvenienti. La stessa cosa si dovrebbe fare oggi».

Quali sono i settori sui quali conviene specializzarsi oggi?

«La risposta è facile. La pandemia ha messo in primo piano la sanità e la parte farmaceutica della ricerca scientifica. C'è stata una grande e improvvisa domanda di beni attinenti alla sicurezza sanitaria e il nostro sistema è stato abbastanza abile: parecchie aziende hanno immediatamente convertito la produzione, mettendosi a produrre mascherine e altri dispositivi di prevenzione. La capacità e velocità di risposta sono fondamentali, soprattutto quando la competizione è così difficile».

Dunque, stiamo affrontando nel modo corretto questa fase?

«Io penso di sì. È ovvio che ci sia una specie di selezione naturale, con imprese più deboli che spariscono e altre più forti che diventano ancora più forti. Io penso che la reazione del nostro sistema sia stata abbastanza incoraggiante. Potevamo veramente avere una catastrofe che invece non si è verificata. Quando i politici parlano di un milione posti di lavoro che si perdono fanno un allarmismo che nel nostro Paese non ha ragione d'essere».

Tra la pandemia e la guerra, siamo stretti tra due minacce. Come sta cambiando l'atteggiamento dei consumatori?

«Stanno cambiando le leggi del consumo. Innanzitutto è sparito il risparmio: la gente spende tutto quello che guadagna poiché vuole cogliere l'attimo di un momento particolarmente delicato in termini sanitari e politici. C'è quest'ansia di investire non su beni durevoli, bensì su una migliore qualità della vita».

Per la serie: del doman non v'è certezza.

«Esatto. Infatti i ristoranti e i bar sono pieni. La pandemia ci ha bruciato due anni di vita, e dopo tante restrizioni adesso la gente vuole divertirsi, vuole vivere. I beni di consumo sono variati: prima il risparmio era fondamentale, oggi un po' è difficile risparmiare e un po' le contingenze non inducono a risparmiare, quindi si finisce per consumare tutto il reddito. Questa tendenza si è diffusa al livello mondiale».

Una dinamica in controtendenza rispetto ad una delle regole fondamentali dell'economia per cui in momenti di difficoltà si tende a detenere moneta.

«Certo, ma in un momento come questo se ho una liquidità e non la investo, l'inflazione me la mangia poco alla volta».

La pandemia ha cambiato anche il paniere Istat?

«Sì, ma non ancora in modo sostanziale. Sono state fatte modifiche parziali che a mio avviso non riflettono ancora in modo coerente e pieno gli effetti della pandemia e della guerra in Ucraina».

L'incertezza legata alla crisi energetica e all'inflazione provocherà una contrazione della domanda?

«È difficile dirlo. Come ho detto, tanta gente vuole divertirsi e spendere, però c'è un elemento significativo che è la risalita del mercato immobiliare, sostenuta dalla paura che il danaro a causa dell'inflazione si polverizzi. Questo significa che c'è gente che punta al risparmio e all'investimento durevole. Non tutti i fenomeni vanno nello stesso senso, il quadro è composito».

Dobbiamo temere effetti nefasti sull'occupazione?

«Il pericolo c'è, ogni processo di cambiamento comporta feriti e morti. Tutto dipende dalla velocità con cui si risponde ai cambiamenti di contesto. Ad esempio, ho scritto molto sul caso Whirlpool: come si può pensare che una produzione che è antieconomica in quel sito possa continuare ad esistere? Se non si consegue una strategia di diversificazione o di efficientamento, è inutile bloccare le autostrade. Io mi domando in questo new deal di governo come sarà amministrato il rapporto con i sindacati. Si riuscirà a ridurre il corporativismo in un Paese in cui si parla di diritti e non di doveri, di posto fisso ma non di rischio di crescita professionale?».

In campagna elettorale è tornato protagonista il dibattito sul reddito di cittadinanza, sul salario minimo: lei che cosa pensa di questi strumenti?

«Il nuovo governo dovrebbe mantenere queste misure, ma modificando le modalità. Se vuoi il reddito di cittadinanza, ti devi rendere disponibile a fare qualsiasi tipo di lavoro. Anche a spazzare le strade. Il sussidio deve avere una logica, non dev'essere un sussidio assistenziale che non serva a niente, altrimenti si producono le storture che abbiamo visto, navigator inclusi. Questo dimostra che l'eccesso di garantismo finisce per essere controproducente».

La caduta del governo Draghi ci danneggerà? Al netto delle valutazioni di tipo politico e elettorale, sul piano meramente economico sarebbe stato meglio continuare ad avere un governo con un presidente del Consiglio come Draghi?

«Il problema è che il governo Draghi non è che sia stato molto stabile. L'ex presidente della Bce ha un'impostazione di grande autorevolezza che ci ha qualificati al livello europeo, questo sicuramente si perderà. Ma il povero premier ha dovuto fare sempre una battaglia con tutti i comprimari che discutevano cose che andavano contro la sua logica. Il suo governo ha dovuto piegarsi molto spesso a compromessi. Senza voler valutare l'ideologia, nel momento in cui dalle urne viene fuori una maggioranza assoluta significa che il governo che verrà sarà sicuramente più stabile di quello che avevamo».

Certo, poi bisogna vedere questa maggioranza quanto terrà.

«Vero, ma gli alleati recalcitranti di Giorgia Meloni, da soli, sono destinati a sparire dalla scena politica».

Intanto, soprattutto al Sud e in Campania, alle urne si è registrata una diserzione da record. È un segnale di rassegnazione e di sfiducia allarmante nei confronti della classe politica.

«La classe politica ha fatto di tutto per meritare questa sfiducia. Non ha fatto assolutamente nulla per ridurre il fenomeno mettendo in campo uomini e programmi che potessero convincere gli elettori. La qualità è stata modalità. La Campania, poi, ha fatto una figuraccia epocale: qui da un lato abbiamo avuto il maggior numero di astenuti e dall'altro il numero più alto di voti al Movimento 5 Stelle, molti dei quali legati al mantenimento del reddito di cittadinanza. Solo a Napoli lo percepiscono in 165mila: se si moltiplica questo numero per il numero dei loro familiari, si spiega il successo del M5S».

«Volete la pace o il condizionatore?», ha domandato il premier uscente agli italiani. Adesso il quesito si ripropone sul riscaldamento. La forbice tra chi vive meglio e chi vive peggio, tra chi è socialmente al sicuro e chi è in pericolo si allargherà ancora?

«Secondo me, sì. Quando certe forme di consumo diventano più costose, i redditi non bastano più. Io sono molto favorevole a due cose che sono state fatte: la prima è la possibilità di mettere pannelli solari su tutti i terrazzi. Questo significa eliminare la burocrazia delle Soprintendenze e altri accidenti che hanno sempre ostacolato. L'altra è la possibilità di fare verande, con un contenimento della dispersione di calore. Sono pannicelli caldi, ma almeno danno il senso di un cambiamento».

La Bce ha detto che bisogna tassare i ricchi per aiutare i poveri. Che ne pensa?

«Sono d'accordo. Ma perché ci si oppone alla patrimoniale? Io questo non l'ho capito. La gente che ha tanti soldi, che compra il Rolex o lo yacht, deve essere tassata di più. Si parla tanto di redistribuzione, ma poi non si applica. Si vogliono tassare i consumi e i redditi, ma non il patrimonio. È assurdo».

Ci aspetta un Natale al freddo e al gelo?

«Io penso che ci sia un po' di esagerazione, ma un fondo di verità c'è».

Il tetto al prezzo dell'energia è praticabile?

«Il problema è che l'Europa non è in grado di disciplinare una serie di questioni che vanno a vantaggio di alcuni Paesi e a svantaggio degli altri. Non possiamo tenere conto della Germania che non vuole il tetto al prezzo dell'energia. L'Europa deve avere una voce sola».

La crisi energetica colpisce inevitabilmente anche le aziende. In fasi di incertezza si tagliano prima di tutto i cosiddetti beni voluttuari. Sacrificheremo i viaggi, le vacanze e i consumi culturali?

«Questo dipende dai tempi per la ripresa generale. Se non sono troppo lunghi, il risultato può non essere troppo drammatico».

Che cosa possono fare le istituzioni per mitigare queste ricadute negative?

«Sul piano istituzionale c'è una piramide che comincia dall'Europa e finisce ai Comuni. C'è un ordinamento comunitario per cui non possiamo fare quello che vogliamo. Ma di sicuro vanno modificate alcune cose. Per esempio, l'ordinamento fiscale deve essere uguale in tutti gli Stati: non è accettabile che la tassazione sia tale da indurre a investire in alcuni Paesi anziché in altri. Poi c'è il tema delle risorse rare che alcuni Paesi europei acquistano a prezzi più vantaggiosi e quindi si oppongono agli accordi».

Sul piano nazionale, che cosa può fare il nostro governo?

«Si tratta di capire che cosa sarà questo nuovo governo composto da forze che non hanno mai governato e si trovano da un momento all'altro a doverlo fare. Come affronteranno i problemi? Con quale classe dirigente? Quali saranno gli uomini che lo sosterranno? Siamo troppo vicini all'esito elettorale per dare queste risposte. Tra i fatti positivi ci sono la stabilità e la conseguente responsabilità in capo ad alcune forze politiche. L'aspetto negativo è una posizione internazionale che sconta le amicizie di queste persone che non sono certamente allineate con l'Europa, e noi dell'Europa non possiamo fare a meno dell'Europa. Ecco, questo è il principale punto interrogativo. E poi dobbiamo evitare di incorrere in storie del passato che rischiano di condizionarci. Una cosa è certa: avendo la maggioranza assoluta, la responsabilità è totale. Se sbagliano, sbagliano».