Toni e Chiara Nocchetti: «Welfare, trasporti, periferie e verde: il nuovo sindaco riparta da qui e apra ai privati»

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Separati dall'anagrafe, uniti dal sangue. Non solo, però: a sua figlia Chiara, con il dna, Toni Nocchetti ha trasferito anche un solido ancoraggio etico. Lui, 60 anni, medico specialista in odontostomatologia, incuriosito prima dall'esperienza di Luigi de Magistris e poi dal Movimento Cinquestelle, ha un cuore che batte a sinistra, ma pratica da sempre una zona franca che si chiama indipendenza. E per rendere più liberi anche gli studenti diversamente abili, i cui diritti sono spesso ignorati e negati, all'inizio degli anni Duemila ha fondato l'associazione "Tutti a Scuola". Lei, 27 anni, si è laureata (presto) in Giurisprudenza alla Federico II, dove lavora come creativa e copywriter per il progetto "Federica web learning". Intanto, tre anni fa ha dato alle stampe il suo primo libro, "Vico esclamativo" (spoiler: è in arrivo il secondo), ambientato in quel calderone ribollente di energie e di attese che è il Rione Sanità, e scrive per Repubblica Napoli, sulle cui pagine ha tenuto un personalissimo diario della pandemia.

Napoli ha scoperto i turisti, i turisti hanno scoperto Napoli. La sfida, adesso, al netto del virus, è uscire dalla gabbia del folklore per proiettare la città verso uno sviluppo sistemico. Come si fa questo salto di qualità?

Toni: «Con due interventi fondamentali, il primo sulla pubblica amministrazione. Uno dei temi fondamentali del mancato sviluppo di un territorio come il nostro è la qualità della pubblica amministrazione. La grande sfida nella quale sono mancati de Magistris e le sue giunte arlecchino è l'efficientamento della pubblica amministrazione. Tutti i grandi intoppi sono legati alla carenza di organico e all'invecchiamento del personale, problemi evidenziati da più parti, e alla carenza di fondi strutturali, che sono venuti meno negli ultimi 10 anni, determinando un vulnus strutturale della macchina comunale. Il secondo intervento riguarda il dialogo tra pubblico e privato: le istituzioni devono confrontarsi in maniera virtuosa con un privato che non è sempre e solo brutto, cattivo, sporco. C'è un privato che tutela e valorizza l'arte, il commercio, l'industria. La scommessa è quella di far parlare questi due mondi. L'ideologia pervasa dall'anti-privatismo a tutti i costi ha dato risultati drammatici. L'isolamento di Napoli in questi anni di amministrazione arancione è sotto gli occhi di tutti. Le amministrazioni pubbliche dovrebbero dialogare tra loro in maniera fisiologica, io ho più volte definito l'atteggiamento del sindaco un atto eversivo. Noi italiani in questo siamo ancora troppo legati ad una logica calcistica della politica: io che tifo per il Napoli con te che sei juventino non parlo. Ricordo con disgusto quando de Magistris parlo di Napoli come "città de-renzizzata". Renzi non mi è stato mai simpatico, ma quell'espressione denotava un livore, un rancore e una violenza eversiva che dobbiamo metterci alle spalle per sempre».

Chiara: «La parola che mi viene in mente più spesso è approssimazione. Credo che sia questo il difetto principale dei napoletani. In alcuni casi è stata una salvezza: la famosa arte di arrangiarsi, la capacità di resistere. Io, però, più cresco e mi relaziono col mondo del lavoro, più ne sono più stufa. Mi aspetto che Napoli mantenga le sue caratteristiche, compreso un certo folklore, ma questo non autorizza le istituzioni ad adagiarsi sull'approssimazione e addirittura a vantarsene, perché non c'è niente di cui vantarsi. Noi napoletani e gli italiani tutti abbiamo fatto della faciloneria e del "tira a campare" un vanto. Va bene un certo fatalismo, ma dobbiamo pretendere più serietà. L'altro giorno ho visto dei turisti in fila per prendere il taxi presi d'assalto dai tassisti abusivi che tentavano di spillare loro 50 euro per una corsa di pochi chilometri. Mi sono sentita in dovere di intervenire. Per difendere loro, ma soprattutto Napoli. Siamo stanchi di essere descritti come i soliti napoletani, perché non siamo i soliti napoletani».

Nella Napoli che verrà sarà possibile trovare un punto di equilibrio tra il lavoro, lo sviluppo, il benessere da una parte e l'identità, la storia, la cultura dall'altra? Come si fa a scansare la minaccia della gentrificazione e della «aperitivizzazione»?

Toni: «In realtà questo problema riguarda soltanto tre o quattro municipalità di Napoli. Per il resto, è un deserto. Il tema del recupero delle periferie è fondamentale, come ripeto ormai da tempo. Ma ci vuole un patto politico nazionale: le cose vanno fatte in squadra. Si potrebbe proporre un'agenzia europea per i quartieri desolati delle nostre città. Bruxelles ha un sacco di agenzie europee, che sono una filiera formidabile di sviluppo, di civiltà e di cittadinanza attiva. Un'agenzia europea dell'educazione potrebbe avere sede a Scampia o a Ponticelli. Per farlo, c'è bisogno di accordi nazionali e transnazionali in sede di Parlamento europeo. Queste cose le decide la politica. Abbiamo il più grande tasso di abbandono scolastico d'Italia. Se vuoi trasformare Napoli in Parigi devi mettere nelle periferie gli stadi, i teatri, le università. Così fai lavorare migliaia di persone e realizzi una bonifica economica e sociale. Ci vogliono 3 o 4 anni? D'accordo, ma bisogna pur cominciare. Si parla da anni dell'università a Scampia e ancora non siamo riusciti a fare i pronto soccorso nei policlinici universitari: è una vergogna. Quando parlo di pubblica amministrazione parlo anche di questo, non solo dei giardinieri del Comune».

Chiara: «Voglio guardare il bicchiere mezzo pieno. Il turismo rischia di schiacciare l'identità? Forse. Ma rispetto alla Napoli di dieci anni fa l'apertura all'altro è già un passo avanti. Finché si viene considerati un mondo a parte, non si esiste. Il Rione Sanità è una buona metafora di Napoli: era chiuso, nessuno ci metteva piede. Ora si aprono i bar, salgono i prezzi delle case, artisti come Jago, da New York, decidono di vivere alla Sanità. Questo porterà ad altro. D'altra parte, tutto passa per un cambiamento. Più di quello che è in movimento, mi fa paura quello che è fermo. Se per attirare le persone serve lo spritz, ben venga. Quello che conta è andare oltre, senza restare a contemplare la propria storia e le proprie radici».

Qual è il suo giudizio sui candidati in campo?

Toni: «I candidati più forti – Manfredi, Maresca, Bassolino e D'Angelo - rappresentano candidati di qualità. Personalmente, mi auguro un ballottaggio tra Manfredi e Bassolino. Ma per questa campagna elettorale auspico una politica della verità e della sobrietà, non degli annunci. Per quello abbiamo già dato. E poi spero che tutti i candidati dicano pubblicamente e in trasparenza da dove prendono i soldi. Se si vuole davvero rinnovare la politica, si fa così».

Chiara: «Manfredi è una persona seria e preparata, ma alcuni miei amici lo vedono come lontano dai giovani. Io non la penso così. Con Alessandra Clemente ci conosciamo da diversi anni: prima che fosse assessore abbiamo partecipato insieme ad un progetto di volontariato per i giovani detenuti di Nisida. È una persona della quale ho stima, ma non credo abbia le spalle abbastanza larghe per fare il sindaco. Su Maresca e Bassolino non mi pronuncio, li conosco troppo poco. Ma non bisogna mai tornare coi vecchi fidanzati: quando è finita, è finita».

Tra i grandi problemi insoluti c'è quello del decoro urbano, dal centro alle periferie. Il progetto Sirena e i palazzi fatiscenti, la grave carenza di bagni pubblici, il verde spesso agonizzante. Ha fiducia che si possa cambiare passo?

Toni: «Credo di sì. Tutto quello che ha fatto de Magistris è stato dare spazio ai baretti di Chiaia. Dobbiamo mettere da parte la sottocultura dello spritz, che è fuori da ogni logica. Un'amministrazione seria si fa puntando su persone serie che non guardino al domani, ma al dopodomani. Gente che non intenda la politica non come un "posto", ma come un servizio. E bisogna fare delle cose serie. Prima di tutto, militarizzare certi spazi che sono in balia dell'illegalità. Il nuovo sindaco dovrà lavorare per e non contro, facendo funzionare prima di tutto un rapporto con la Regione e con il governo centrale, con l'obiettivo di avere più polizia municipale. E sogno un sindaco che lavori dal primo giorno dopo le elezioni con il concorrente perdente. Mi aspetto una squadra di assessori di ispirazioni politiche diverse. Fino a quel giorno, però, i vigili bisogna tenerli per strada. Viviamo in una condizione mostruosa. Ci siamo abituati al brutto e allo sporco. Questo, sia chiaro, non tiene lontani i napoletani dalle responsabilità. Il sabato sera a via Cilea, come in altre strade della città, si vedono auto abbandonate in seconda e terza fila. È necessario educare quelle persone con la certezza della sanzione».

Chiara: «Il decoro urbano è il punto dal quale ripartire. Non ci rendiamo conto di quanto viviamo nello "sgarrupo". E l'occhio, se non fai confronti con altre realtà, si abitua allo "sgarrupo". Questa cosa uno che viene da fuori la nota subito. La cosa assurda è che abbiamo tutto e ci perdiamo in un bicchier d'acqua. Ho letto su un libro dell'università che l'abitudine alla bellezza partorisce l'indifferenza. Ebbene, noi napoletani ci adagiamo su cose per le quali non abbiamo alcun merito. Sono stanca di una città abbandonata dai suoi talenti che premia la mediocrità e addita come pesante chi pretende che vengano rispettate le regole. Sono per la linea dura: non si esce dal disastro senza passare per la severità. Abbiamo bisogno di essere un po' educati, di un genitore severo con le idee chiare che, soprattutto, non abbia paura di assumersi le proprie responsabilità. Dal prossimo sindaco e dalla sua giunta mi aspetto un atteggiamento all'altezza dell'onere che avranno assunto. Oggi c'è un eterno scaricabarile, e allora tutto diventa epico».

Dal decoro urbano e dalla coesione sociale derivano anche i temi della legalità e della sicurezza. Come si fa ad includere nel progetto di una città i disoccupati, le famiglie monoreddito, i lavoratori senza tutele, gli immigrati, i senza fissa dimora? Non crede che sia necessaria una pax sociale per uscire dalla conflittualità e dalla diffidenza che separa la città borghese da quella proletaria?

Toni: «I bambini sono tutti uguali: a 5 o 6 anni vanno a scuola con il grembiule e il fiocchetto, poi alcuni si guastano per strada. Ma, soldi a parte, bisogna con grande sobrietà indossare i calzari di San Francesco e riprendere a parlare con le persone. Certo, possiamo agire sulla leva economica per sostenere le famiglie più disagiate. Ma avremo risolto un problema, ma non "il" problema: quello di sentirsi comunità. Viviamo in una società autistica, nella quale l'autismo sociale pervade le nostre relazioni. I borghesi stanno con i borghesi, quelli dei circoli con quelli dei circoli, i poveri con i poveri. La sfida deve essere interclassista».

Chiara: «L'unico modo per superare la diffidenza è conoscere l'altro, smettendo di tirare una riga tra i ricchi e i poveri, gli ultimi e i primi, i buoni e i cattivi. Alla Sanità, per il mio libro, ho raccolto storie di razzismo al contrario: la gente mi vedeva come quella che veniva da via Manzoni, la snob con la puzza sotto il naso. Invece per capirsi bisogna incontrarsi e mescolarsi. Cosa possono fare le istituzioni? L'articolo 3 della Costituzione enuncia il principio di uguaglianza, ma bisogna dare di più a chi ha di meno con investimenti mirati e specifici su alcune parti della città. Non basta aggiustare il lungomare, tra l'altro di nuovo aperto alle auto, quando due strade più sopra c'è gente che vive nella miseria. Altrimenti facciamo come quelli che prima di ricevere degli ospiti puliscono solo il salotto. E se l'ospite deve andare al bagno?».

Per avvicinare ciò che il censo divide sarebbe utile il trasporto pubblico.

Toni: «Ecco, sul trasporto pubblico c'è bisogno di una sinergia col privato. Il trasporto pubblico di questa città è utilizzato dagli invisibili: donne, immigrati, poveri. Nessun borghese lo usa. Per riportarlo a livelli dignitosi serve una governance pubblica con una partnership privata. Qui a Napoli dal 1 luglio i display delle pensiline annunciano il servizio estivo e devi rassegnarti ad attese infinite. A Milano d'estate gli autobus passano ogni 4 minuti e l'azienda di trasporto si scusa pure per il disagio».

Chiara: «Il trasporto pubblico, con le strade, è la cosa più rovinata che abbiamo. E sì che un trasporto pubblico disastroso separa le persone: io non vado in alcuni posti perché arrivarci è un'impresa titanica. E poi un servizio più decoroso migliorerebbe enormemente la qualità della vita. Quando aspetti tanto tempo un bus o una metro sei arrabbiato, nervoso, tratti male gli altri: si sviluppa un circolo vizioso di malessere che finisce anche per alimentare comportamenti».

Un successo e un fallimento dell'amministrazione uscente.

Toni: «Un successo innegabile è che da dieci anni non abbiamo le procure all'interno del Comune. Sul fallimento lasciamo perdere. Potrei citare l'annientamento del welfare come un esempio paradigmatico, visto che riguarda i più fragili. Un che vale per tutti gli altri».

Chiara: «Il successo è aver contribuito ad un'immagine della città più attraente, sebbene un po' superficiale. Per chi la vede dall'esterno, Napoli in questi dieci anni è diventata una città quasi fancy. Un fallimento è quello di essersi fermato alla superficie senza migliorare la qualità della vita di chi aveva già una qualità della vita bassa. Abbiamo iniziato a pulire il salotto, che è sicuramente meglio di chi non puliva neanche quello, ma non ci siamo spinti alla cucina, al bagno e alle camere».

Quali sono le prime tre cose che chiederebbe al nuovo sindaco?

Toni: «L'Agenzia Europea dell'educazione, la prima proposta che farò al nuovo sindaco, far ripartire tutti i progetti europei finanziati che giacciono nei cassetti e un'operazione verità sui conti che secondo me va fatta nel dettaglio e sarebbe rivoluzionaria. I crediti non esigibili non vanno più riportati in bilancio».

Chiara: «Un trasporto pubblico degno di una città europea, luoghi pubblici aggreganti come un luogo dove ascoltare la musica come si deve e aree verdi tenute bene: la Floridiana, la Villa Comunale e il Virgiliano sono ridotti malissimo. Non chiedo molto, ma vorrei che aggiustassimo quello che abbiamo. Abbiamo il dovere di migliorare la vita delle persone partendo dalle cose semplici».