L’Italia, un Paese all’ultimo ballo sul Titanic a colpi di Tik Tok. Quest’immagine ci restituisce l’Italia di questi ultimi scampoli d’estate. Un balletto lì dalle spiagge affollate in massa, che ti fanno chiedere qual è il reddito reale degli italiani, dai non abbienti ai male abbienti. Mezze battute là, sul Tik Tok della politica, che non fanno manco ridere, ma si irridono, nel disinteresse generale, tra loro. Nessun pensiero lungo vero, neanche un endecasillabo fatto bene. Al più appesi ai risvolti di Mario Draghi al Meeting di Rimini, sperando, che chiunque sia il successore, sappia svolgere l’assegno che lascerà scritto sulla scrivania di Palazzo Chigi. Ma la fiducia è scarsa, dopo che questo ceto politico, che in ranghi ridotti va a farsi rieleggere obbligatoriamente, grazie al sequestro del voto della legge elettorale, si è giocato con questa improvvida chiamata alle urne in piena estate gli ultimi stracci di credibilità e di assennatezza.
Sarà interessante vedere come se la caverà un parlamento delegittimato già dalle urne per la sua non rappresentatività generata da una miserrima legge elettorale, il Rosatellum. Una legge grazie a cui da un lato è il ceto politico che si autodesigna nelle posizioni eleggibili delle liste a rappresentare se stesso, più che i suoi elettori, che non scelgono niente; e dall’altro, per sovramercato, per il gioco maggioritario dei collegi uninominali, l’elettorato soccombente sarà per definizione, per come si sono presentati ai nastri di partenza gli schieramenti, sotto rappresentato. Ne verrà fuori un parlamento che più che il ritorno alla politica cui dovrebbe essere vocato, appare già preconfezionato per essere supplito da un governo tecnico, come con una certa spudoratezza va dichiarando Calenda. Probabilmente però con troppa fiducia nell’abitudine del centrosinistra, da dieci anni a questa parte, a governare senza vincere le elezioni.
Giacché il centrodestra da un lato sta cercando di accreditarsi a svolgere meglio la medesima funzione di referente nazionale degli stessi vincoli di contesto internazionale svolta fin qui da partiti “istituzione”, a cominciare dal Pd, dove non si è mai capito bene dove finiva la responsabilità e dove cominciavano le convenienze. Dall’altro, poiché il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi, si candida a razionalizzare sul piano istituzionale i bisogni circolanti di “sovranismo”, alla fin fine una volontà popolare che si sente frustrata e senza risposte in questa fase ai suoi bisogni di protezione. In sostanza nel paventabile fallimento della rappresentatività parlamentare, che rischia di dover portare con queste elezioni i libri in tribunale, la proposta del “presidenzialismo”, dove almeno un soggetto (l’elettore) sceglie o crede di scegliere un soggetto (il leader). Perché da qualche parte la “sovranità” popolare deve pur potersi esprimere, e se il suo “luogo” non è più il parlamento, si appronta la surroga del “presidente”. E non è un caso che nel nostro sistema parlamentare sempre più spesso di questa “sovranità” come volontà ed interesse di tutti gli italiani si è dovuto far carico il “motore di riserva” costituzionale che è la presidenza della repubblica.
Ma anche su questa strada c’è poco da stare tranquilli, considerate le scadenti prove del sempre più ambizioso “sovranismo regionale” dei “governatori”. Una toppa che rischia di essere peggiore del buco, e più che a rischi di fascismo ci espone, considerata la qualità media degli interpreti possibili, a rischio di sfascio dei già precari equilibri del sistema Paese. E tuttavia chi fa questa predica ha avuto lunghi anni a disposizione per non renderla necessaria. Indi per cui, mentre andremo a votare con indicibile sofferenza democratica, vorremmo almeno ascoltare un impegno solenne a cambiare la legge elettorale da parte di tutti. Un impegno che non si ascolterà, perché mette a rischio i destini personali delle oligarchie partitiche che ci si dovrebbero impegnare.
Ma quale sia il dramma “democratico” della situazione, che scava alla tenuta delle istituzioni del Paese la terra sotto i piedi, ce lo dicono i dati delle recenti elezioni amministrative napoletane e campane, visto che siamo a Napoli. Che hanno peggiorato il già pericoloso dato del 60% di elettori ai seggi delle politiche del 2018.
Alle ultime elezioni comunali del 2021, hanno votato il 47,17% dei chiamati al voto. In pratica su 776.751 elettori, hanno votato solo 366.374 napoletani. 410.377 elettori hanno preferito restare a casa il giorno delle votazioni, cosicché la coalizione vincente, ha racimolato complessivamente 215.427 voti di preferenza che sono stati sufficienti ad incoronare Gaetano Manfredi Sindaco di Napoli. In sostanza l’amministrazione napoletana si regge sul gradimento di poco meno del 28% degli aventi diritto al voto. Fondamentalmente uno sgradimento di massa, e un’irrapresentatività democratica a priori. Stesso discorso per le Regionali 2020, dove la percentuale di affluenza al voto a Napoli è stata del 46,10%.
Un parlamento e tanto più il governo che ne uscirà tarato su questo vulnus fondazionale della non rappresentatività – per usare una metafora da scienza delle costruzioni, con tanto poco cemento armato nei pilastri – come potrà gestire la bolletta della vita quotidiana degli italiani al rientro delle ferie, svenata per altro dalle ultime spensierate vacanze? Per quanto tempo potremmo appenderci o impiccarci a Kiev, senza essere per altro in grado di esercitare alcun ruolo per un atlantismo responsabile e attento al futuro dell’Europa?
Intanto continuiamo a ballare sul Titanic fatto di barchini e barcarozzi e di quadripiani a mare, mentre la benzina verrà a mancare nelle pompe. Ma a proposito non si poteva far pagare il doppio la benzina alle pompe dei moli dei diportisti e usarne il ritorno erariale per far pagare meno quella dell’autotrasporto dei beni di prima necessità? O si facevano soffrire troppo gli italiani che non arrivano alla fine del mese? Un po’ di tasse sulle vite di lusso, se non nella dichiarazione dei redditi, almeno al consumo le vogliamo mettere o no? Magari sarà un pensiero corto da Tik Tok, ma in attesa del piano energetico nazionale è meglio di niente. E comunque anche su questo pensiero corto tra catasto e balneari, su una società irriformabile nei suoi vizi e nelle sue franchigie, Draghi ci ha rimesso le penne.
© Eugenio MazzarellaProfessore di filosofia teoretica