Un Paese fragile

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Da un lato il climate change, il rischio sismico e idrogeologico. Dall’altro il degrado strutturale di opere, prevalentemente in calcestruzzo, che hanno superato i 50 anni di età, nonché il progressivo contenimento degli interventi di prevenzione, monitoraggio, manutenzione delle infrastrutture italiane, nella cornice di un altrettanto precario rapporto tra istituzioni pubbliche e aziende private.

Secondo i dati Ocse l’Italia è al secondo posto in Europa per la spesa in manutenzione strade; tuttavia, considerando le caratteristiche del territorio italiano, lo stato di obsolescenza delle opere e gli investimenti di manutenzione/nuova realizzazione in rapporto al Pil, quella delle infrastrutture in Italia appare come l’ennesima “emergenza”.

L’ANCE lancia l’iniziativa “Sblocca cantieri”; Fondazione Inarcassa, Consiglio nazionale degli Ingegneri e Consiglio nazionale degli Architetti indicono la “Giornata Nazionale della Prevenzione Sismica”; Renzo Piano regala alla Regione il progetto del nuovo viadotto da realizzare in luogo del Ponte Morandi; il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti presenta la rubrica "Mit the people" per spiegare e rendere comprensibile il proprio operato anche ai non addetti ai lavori.

Può, questo, bastare a risolvere una chiara incapacità di governo economico sull’evoluzione dell’offerta di infrastrutture e dei servizi del Paese?