Gli italiani che non vanno a votare sono sempre di più. Nelle politiche del 2022 furono diciassette milioni. Nelle europee del 2024, addirittura ventisei milioni. E la conquista delle praterie astensioniste è diventata perciò l’obiettivo di tutti. Dei molti “centristi” in circolazione, da Calenda a Lupi, da Renzi a Marattin. Della sinistra di Schlein, che cerca di andare oltre il suo storico zoccolo duro. Dei pentastellati di Conte, sempre disponibili ad ogni bandiera. Della stessa Giorgia Meloni, che ha in mente il partito conservatore di massa.
Tutti sembrano dare per scontata l’esistenza di un paese talmente disilluso, insicuro e arrabbiato da rifiutarsi perfino di mettere una x sulla scheda. Milioni di italiani convinti che non succederebbe niente se palazzo Chigi cambiasse colore. Riformisti di belle speranze che non credono più alla promessa di riforme. Ceti medi impoveriti e giovani senza prospettive che semplicemente ce l’hanno a morte con la politica.
Ma forse gli astensionisti non mandano soltanto un grido di protesta. Forse sono anche coloro che apprezzano un governo senza infamia e senza lode. Coloro che godono di un protezionismo sociale tuttora generoso (detassazione dei redditi bassi, pensioni retributive, ecc.). Che percepiscono dallo Stato stipendi mediocri in cambio di mediocri prestazioni. Che si tengono stretti i loro privilegi microcorporativi. Che nuotano nel fiume carsico dell’elusione e dell’evasione fiscale. Coloro, insomma, che sono moderatamente soddisfatti di come vanno le cose, sebbene siano pronti a dirne tutto il male possibile con gli amici al bar.
E una cosa è certa. Gli indifferenti saranno molto più difficili da riportare nell’agone politico, rispetto agli arrabbiati. Rimarranno alla finestra, un po’ per tornaconto personale, un po’ per il cinismo di chi la sa lunga. Contando sul fatto che, nel bene o nel male, nessuno rivolterà il paese come un guanto.
© Paolo MacryProfessore Emerito, Federico II